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Il ritorno del reale



 

Cindy Sherman
A cura di Johanna Burton


postmedia books 2019
256 pp.
isbn 9788874902200

s 24,00

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Per tutta la vita ho cercato di apparire sempre diversa, e quindi ho avuto i capelli di ogni colore, ogni lunghezza e ogni stile. Il risultato è stato che molti di questi personaggi sono come me in uno dei periodi della mia vita successivi alla realizzazione delle Untitled Film Still; forse li ho seguiti inconsciamente, se non altro il loro taglio di capelli. Di tanto in tanto ho avuto l'impressione, adesso che sono invecchiata, di essere diventata più simile ad alcuni di loro.
[Cindy Sherman]

Questa è una raccolta di saggi critici su una delle artiste più innovative e influenti dell'arte contemporanea. A partire dalle Untitled Film Stills degli anni Settanta, i suoi autoritratti metamorfici e l'appropriazione dei generi possono essere visti come una continua indagine sulla rappresentazione e sul suo complesso rapporto con la fotografia. Cindy Sherman e il suo lavoro sono spesso discussi in termini di teorie e idee postmoderne che stavano diventando sempre più importanti all'inizio della sua carriera: femminismo, soggettività, mass media, nuove forme di riproduzione meccanica e persino traumi. Tuttavia, il suo rifiuto di riconoscere uno qualsiasi di questi temi come particolare preoccupazione dell'artista solleva interrogativi sulle relazioni tra i significati proiettati su un'opera d'arte e quelli da essa prodotti. L'arte di Cindy Sherman ci affascina in parte per la sua capacità di suggerire - e allo stesso tempo di sfuggire a tante letture possibili. Le discussioni di questi saggi abbracciano una carriera lunga quasi tre decenni, dal suo sorprendente debutto con gli Untitled Film Stills in bianco e nero, attraverso le sue fotografie a colori con retroproiezione, quelle con parti del corpo protesiche e i modi sempre più ingenui di travestimento e rappresentazione del sé visti in serie successive come Centerfolds, Fairy Tales e Disasters. I saggi di critici famosi come Douglas Crimp, Hal Foster e Rosalind Krauss... rispondono non solo al lavoro di Sherman, ma anche alle argomentazioni e alle postulazioni fatte al riguardo, diventando parte della conversazione critica in corso su un artista di grande importanza.
Con saggi di Johanna Burton, Norman Bryson, Douglas Crimp, Abigail Solomon-Godeau, Hal Foster, Rosalind Krauss, Laura Mulvey, Craig Owens, Kaja Silverman, Judith Williamson e una postfazione di Cristina Casero

Si comprende, quindi, che nel suo complesso il volume si offre come prezioso strumento di studio a proposito di una delle più importanti artiste contemporanee, capace di sperimentare una continua e dissacrante ibridazione tra i codici mediali e culturali dell'immaginario contemporaneo. I saggi che chiudono il volume rimettono a fuoco l'opera di Sherman secondo prospettive teoriche a noi più contemporanee, pur senza tralasciare l'eredità degli studi precedenti. Johanna Burton prende spunto dal romanzo breve di Don DeLillo The Body Artist, instaurando un suggestivo confronto tra la sua protagonista fittizia, Lauren Hartke, e le esperienze 'reali' di Cindy Sherman guardandole proprio dall'ottica della body art. La postfazione di Cristina Casero all'edizione italiana rimette al centro la questione del corpo in rapporto alla (sur)realtà e alla (sur)citazione, proponendosi come un utilissimo compendio all'intero percorso dell'artista, inquadrandolo alla luce della critica esistente ma proponendo anche spunti inediti, come quelli che riguardano il profilo Instagram di Cindy Sherman. Al posto di utilizzare il canale social come strumento pubblicitario per mostrare le proprie opere a un vasto pubblico, Sherman alterna immagini parodiche di luoghi e situazioni, talvolta curiose, a selfie grotteschi e deformati digitalmente: una trasformazione che «raggiunge il pubblico e lo coinvolge in un processo di desacralizzazione che, come sempre, investe la sua immagine e il suo ruolo autoriale: si scioglie l'aura e le sue immagini navigano libere in rete».
[Beatrice Seligardi, Arabeschi, ottobre 2020]

Le opere di Cindy Sherman sono fotografie. Sherman non è una fotografa, ma un'artista che usa la fotografia. Ciascuna immagine è costruita intorno alla rappresentazione fotografica di una donna. E ciascuna di queste donne è la stessa Sherman, che è simultaneamente artista e modella, trasformata, come un camaleonte, in un glossario di pose, gesti ed espressioni facciali. Mentre la sua opera andava sviluppandosi, tra il 1977 e il 1987, si verificò uno strano processo di metamorfosi...
[Laura Mulvey]

Le fotografie di Cindy Sherman funzionano all'interno di questa modalità, ma al solo fine di mettere in luce un aspetto indesiderato di tali finzioni, poiché quella che viene svelata da Sherman è la finzione dell'io. Le sue fotografie mostrano come l'io presuntamente autonomo e unitario di cui si servirebbero quegli altri "registi" per creare le loro finzioni non sia altro che una serie discontinua di rappresentazioni, copie, falsi.
[Douglas Crimp]



 

 



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