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Dopo l'arte

Design & Crime

Il complesso Arte-Architettura

L'antiestetica

Il ritorno del reale

 



Bad New Days
Arte, critica, emergenza
di Hal Foster

postmedia books 2019
180 pp. 42 ill.
isbn 9788874902453

s 19,00

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Uno dei più importanti critici d'arte al mondo analizza un quarto di secolo di pratica artistica. Bad New Days percorre gli ultimi venticinque anni di evoluzione dell'arte e della critica d'arte in Europa e Nord America esplorandone la loro relazione dinamica con le condizioni generali di emergenza inculcate dal neoliberismo e dalla guerra al terrorismo. Prendendo in analisi il lavoro di artisti quali Thomas Hirschhorn, Tacita Dean, Mike Kelley, Sam Durant, Isa Genzken, Robert Gober... e gli scritti di Jacques Rancière, Bruno Latour e Giorgio Agamben, Hal Foster mostra i modi attraverso i quali l'arte ha anticipato questa condizione, resistendo a volte sia alle speculazioni sul collasso del contratto sociale sia ai buoni propositi di chi intendeva ripararlo; altre volte facendone una parodia. Contrario all'affermazione secondo la quale fare arte è diventata un attività talemente eterogenea da sfidare l'analisi storica, Hal Foster sostiene che il critico non ha ancora articolato un resoconto chiaro della complessità contemporanea. A tal fine, offre diversi modelli di arte degli ultimi anni, un tentativo di catalogazione che definisce nei termini di "abietto", "archivistico", "mimetico" e "precario".

 

Parte della vicenda raccontata in questo breve libro si focalizza attorno a un recente superamento degli assunti principali dell'arte postmodernista, in particolare la sua predilezione per l'immaginifico e per il testuale, a favore di una messa alla prova del reale e della storia. Questo passaggio è stato motivato da ragioni intrinseche all'arte, certo, ma al tempo stesso rende conto di questioni ad essa estranee, e spesso radicali. Il che spiega la scelta del termine "emergenza" nel sottotitolo del volume. Mi preoccupo dei termini perché quelli usati in questa sede – abietto, archivistico, mimetico, precario e post-critico – non si qualificano di per sé come paradigmi. Alcuni di essi ricordano più che altro delle strategie, mentre altri descrivono particolari situazioni.
[ dalla prefazione di Hal Foster]


Straordinaria la lucidità che continua a contraddistinguere i saggi di Hal Foster, critico classe 1955, originario di Seattle e residente da una vita a New York. Nell'ultimo libro tradotto in italiano (Dio salvi Postmedia Books, se mai ce ne fosse bisogno) e risalente al 2015, questa lucidità si rimarca sin dalle pagine introduttive, tutt'altro che di circostanza. Qui, infatti, Foster sferza i debolisti – che di debole hanno solo la capacità di comprendere il reale – chiarendo che "l'arte non è mai, in nessun caso, un guazzabuglio di progetti disconnessi. In altre parole […], per quanto le forme d'arte non convergano verso un unico fine, nel senso teleologico del termine, esse si sviluppano comunque sulla base di un dibattito in continua evoluzione, e questo significa – diciamolo pure – che c'è un'arte più (e meno) saliente, più (e meno) significativa, più (e meno) attuale". Una tesi argomentata in quattro capitoli uno più notevole dell'altro, che partono da parole-concetto come "abietto", "archivistico", "mimetico" (che è poi il capitolo più politico, controintuitivamente), "precario", per chiudere con un affondo sul presunto "post-critico" e con una "coda" che è un Elogio della presenza.
[ Marco Enrico Giacomelli, Artribune ]

Hal Foster è uno dei rari critici d'arte la cui prosa misurata coinvolge un pubblico più ampio del solito, facendo a meno di contribuire all'inflazione di quel vago filosofeggiare che affligge gran parte dei pettegolezzi più elevati tra i critici d'arte.
[ Brian Dillon, The Guardian ]

Nel suo recente saggio Bad New Days. Arte, critica, emergenza (Postmedia Books, 2019), Hal Foster prende in esame alcuni indirizzi artistici degli ultimi decenni che hanno superato quella che indica come la "predilezione per l'immaginifico e per il testuale", tipica dell'arte postmodernista, "a favore di una messa alla prova del reale e della storia". Se tale cambio di direzione ha a che fare con ragioni interne all'ambito artistico, non di meno, sostiene lo studioso, ciò si relaziona anche con l'immaginario precario ed emergenziale edificato dal neoliberismo. Nel volume viene preso come punto di partenza il 1989, anno segnato dalla caduta del muro berlinese e dalle proteste di piazza Tienanmenn che se da un lato ha fatto credere a molti di trovarsi all'inizio di un rinnovamento, in meglio, dell'ordine mondiale, dall'altro ha finito per palesarsi come momento di accelerazione di quella deregulation che ha sancito il trionfo del neoliberismo con il suo corollario di diseguaglianze e disgregazioni sociali. Se una parte del panorama artistico non ha mancato di adeguarsi alle lusinghe neoliberiste, non è mancato chi ha saputo cogliere la deriva in atto denunciandola o parodiandola.
[ Gioacchino Toni, Il Pickwick ]

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

postmedia books

Hal Foster (Seattle 1955 _ vive a New York) insegna arte alla Princeton University dove dirige il dipartimento di Arte e Archeologia. E' stato uno dei fondatori della casa editrice Bay Press a Seattle. Collabora con le riviste October, New Left Review e London Review of Books. Ha scritto libri fondamentali per la teoria dell'arte contemporanea: Design & Crime, Prosthetic Gods e Arte dal 900 una particolare storia dell'arte del Novecento scritta in collaborazione con Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois e Benjamin Buchloh. Postmedia pubblica nel 2006 un altro libro fondamentale per la teoria degli anni Ottanta, Il ritorno del reale, e nel 2014 arriva la traduzione italiana de L'Antiestetica, una raccolta di saggi a cura di Hal Foster che raccoglie gli scritti di Jurgen Habermas, Kenneth Frampton, Rosalind Krauss, Craig Owens, Fredric Jameson...

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Ketty La Rocca