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ø Introduzione

ø La logica dell'uguaglianza estetica
Se si vuole parlare della capacità dell'arte di resistere alle pressioni esterne, occorre porsi la seguente domanda: l'arte possiede un suo territorio che valga la pena difendere? L'autonomia dell'arte è stata negata recentemente in molte discussioni teoriche. L'arte potrebbe essere usata solo per progettare, estetizzare i movimenti politici emancipatori già esistenti (vale a dire che potrebbe essere al massimo una semplice appendice alla politica). Questa, mi sembra la questione: l'arte possiede un qualche tipo di potere autonomo, oppure può solo decorare i poteri esterni, che si tratti di poteri di oppressione oppure di liberazione?

ø Sul nuovo
Negli ultimi decenni la questione dell'impossibilità di realizzare qualcosa di nuovo in arte si è diffusa esercitando una grande influenza. La sua caratteristica più interessante è una certa sensazione di felicità, di grande stimolo nei confronti di questa presunta fine del nuovo: una soddisfazione interiore che ovviamente questo discorso produce nell'ambiente culturale contemporaneo.

ø Sulla curatela
Il lavoro del curatore consiste nel disporre le opere d'arte in uno spazio espositivo e questo differenzia il curatore dall'artista, in quanto l'artista ha il privilegio di esporre oggetti che non sono stati elevati allo status di opera d'arte, essi acquistano questo status proprio quando vengono collocati in uno spazio espositivo. Duchamp, esponendo l'orinatoio, non è un curatore ma un artista, perché la sua decisione di presentare l'orinatoio nell'ambito di una mostra, ha fatto diventare l'orinatoio un'opera d'arte. Il curatore non ha questa opportunità.

ø L'Arte nell'era della biopolitica: dall'opera alla documentazione
Negli ultimi decenni è sempre più evidente che il mondo dell'arte ha spostato il suo interesse dall'opera alla documentazione artistica. Questo spostamento indica una trasformazione più grande che l'arte sta attraversando oggi. Oggi, negli spazi predisposti all'arte, è più frequente trovarsi di fronte a documentazioni piuttosto che ad opere d'arte. Per definizione la documentazione dell'arte non è arte, fa solo riferimento all'arte, ma proprio in questo modo fa chiarezza su cosa sia l'arte che così non è più presente e immediatamente visibile ma al contrario è assente e nascosta.

ø Iconoclastia come strumento artistico:
strategie iconoclasta nel cinema

Il cinema non ha mai fatto parte di un contesto sacro, ha sempre percorso la strada oscura della vita profana e commerciale, eterno compagno dell'intrattenimento di massa da quattro soldi. Anche i tentativi di elevare il cinema intrapresi dai regimi totalitari nel XX sec. non hanno mai ottenuto successo. La ragione di questo non va cercata tanto nella natura del cinema come medium: il cinema è semplicemente arrivato troppo tardi. Al tempo della nascita del cinema, la cultura aveva già perso il suo potenziale consacratorio. Quindi, date le origini laiche del cinema, sembrerebbe inappropriato associare a prima vista l'iconoclastia al cinema. Nonostante ciò, si può sostenere che il cinema abbia intrapreso una lotta più o meno aperta contro altri media, tra cui pittura, scultura, architettura, il teatro e l'opera lirica.

ø L'arte nell'era della digitalizzazione:
dall'immagine al file e ritorno

La digitalizzazione delle immagini è stata inizialmente pensata come modo per sfuggire al museo, o più in generale agli spazi espositivi, lasciando libera l'immagine. Ma, negli ultimi decenni, si è assistito alla crescente presenza di immagini digitali nelle istituzioni artistiche. Quindi sorge la domanda: cosa ci dice questo in merito alla digitalizzazione e alle istituzioni? Si avverte un disagio da entrambi i lati del divario digitale. Da una parte, l'immagine digitale liberata sembra soggetta a una nuova prigione, dall'altra, il sistema dell'arte sembra compromesso quando espone copie digitali al posto degli originali. Certo, si può sostenere che le fotografie e i video digitali – come i readymade, le fotografie e i film analogici prima di loro – esposti in mostra, sono la prova della perdita dell'aura, lo scetticismo postmoderno contro il concetto moderno di originalità. Perché poi dovremmo esporre queste immagini, invece di lasciarle circolare liberamente nella rete di informazione contemporanea?

øAutorialità multipla
La funzione sociale dell'esposizione è rimasta a lungo la stessa: l'artista produceva opere che venivano poi selezionate ed esposte dal curatore della mostra, oppure rifiutate. L'artista era considerato un autore autonomo. Il curatore, invece, era qualcuno che mediava tra autore e pubblico, senza però essere un autore. I rispettivi ruoli di artista e curatore erano così ben distinti: l'artista si occupava della creazione, il curatore della selezione. Quel periodo si è definitivamente concluso. La relazione tra artista e curatore è cambiata radicalmente. Sebbene questo cambiamento non abbia risolto i vecchi conflitti, questi hanno assunto una forma totalmente diversa. La spiegazione del perché la situazione sia cambiata è semplice: oggi l'arte viene definita in base a un'identità tra creazione e selezione

ø La città nell'era della riproduzione turistica
In origine la città nasce come progetto per il futuro: la gente si spostava dalla campagna per sfuggire alle forze della natura e per costruire un futuro che poteva essere controllato e modellato. L'intero corso della storia dell'umanità sino a oggi è stato definito da questa migrazione dalla campagna alla città, una dinamica a cui, in effetti, la storia deve la sua direzione. La città possiede di per sé una dimensione intrinsecamente utopica per il fatto di essere situata al di fuori dell'ordine naturale. La città si trova nel ou-topos. Un tempo erano le mura a delineare il luogo in cui veniva costruita una città, designando chiaramente il suo carattere utopico, ou-topian. Più la città era considerata utopica, più era difficile raggiungerla e accedervi, sia che fosse Lhasa in Tibet, la celestiale Gerusalemme o Shambala in India. Quindi la città autentica non solo è utopica ma anche anti-turistica: essa si dissocia dallo spazio muovendosi nel tempo.


ø Riflessioni critiche
Che qualcosa debba essere scritto sull'arte è scontato. Quando le opere d'arte non sono accompagnate da un testo – negli opuscoli che le accompagnano, nei cataloghi, nelle riviste d'arte o altrove – sembra che siano state consegnate al mondo senza protezione, perse e scoperte. Le immagini senza testi sono imbarazzanti, come una persona nuda in uno spazio pubblico. Esse hanno bisogno come minimo di un bikini testuale, sotto forma di didascalia, con nome dell'artista e titolo (nel peggiore dei casi si legge Senza titolo). Si tratta di testi che non sono necessariamente scritti per essere letti. Il ruolo del commentatore dell'arte è completamente frainteso se ci si aspetta chiarezza e comprensibilità. In effetti, quanto più un testo è ermetico e oscuro tanto meglio: quei testi che lasciano intravedere troppo espongono le opere d'arte alla nudità.


ø Arte in guerra
La relazione tra arte e guerra, o tra arte e terrore, è sempre stata ambivalente. La verità è che all'arte occorrono pace e tranquillità per svilupparsi. Eppure la rappresentazione della gloria e della sofferenza della guerra è stata a lungo uno dei temi preferiti dell'arte. L'artista era solo un narratore o un illustratore degli eventi, mai in passato l'artista si è trovato a competere con il guerriero. La divisone tra arte e guerra era abbastanza chiara. Il guerriero combatteva davvero, mentre l'artista rappresentava i combattimenti narrandoli o rappresentandoli. L'artista e il guerriero, quindi, dipendevano uno dall'altro. Però, solo un artista poteva dare fama al guerriero e assicurargli questa notorietà presso le generazioni a venire.

ø Il corpo dell'eroe: la teoria dell'arte di Hitler
Oggi, chi parla di eroi ed eroismo non può fare a meno di ricordarci il fascismo, il nazionalsocialismo e Hitler. Il fascismo elevò la produzione eroica a programma politico. Ma cos'è un eroe? Cosa lo distingue da un non eroe? Un gesto eroico trasforma il corpo dell'eroe da mezzo a messaggio. A tale scopo, il corpo dell'eroe si distingue da quello del politico, dello scienziato, del filosofo, dell'imprenditore, i cui corpi sono celati dietro la funzione sociale che esercitano. Un corpo si mostra direttamente, però, quando si libera dal guscio dei ruoli sociali che solitamente interpreta, il risultato è il corpo dell'eroe. Questi incredibili corpi sono stati esaltati e messi in mostra, ad esempio, dai futuristi italiani. Per fare del corpo il messaggio occorre prima di tutto un'arena, un palcoscenico o, in alternativa, una comunicazione moderna, un pubblico creato dai media.

ø Educare le masse: l'arte realista socialista
Dai primi anni Trenta sino alla caduta dell'Unione Sovietica, il realismo socialista è stato l'unico metodo creativo ufficialmente riconosciuto per tutti gli artisti sovietici. Le varietà di teorie estetiche concorrenziali finirono bruscamente il 23 aprile 1932 quando il Comitato Centrale approvò un decreto che smantellava tutti i gruppi artistici attivi... Secondo la definizione ufficiale, un'opera d'arte realista socialista dev'essere "realista nella forma e socialista nei contenuti". Interpretare questa vaga dichiarazione in una pratica artistica concreta, non era un'impresa facile, ma le risposte a queste domande hanno stabilito il destino di ogni singolo artista sovietico. Questo sanciva per gli artisti il diritto di lavorare, e in alcuni casi, quello di vivere.

ø Oltre la diversità: gli studi culturali e l'Altro dopo il comunismo
Si può tranquillamente affermare che la situazione culturale nei paesi dell'Europa dell'Est post-comunista sia ancora un punto cieco negli studi culturali contemporanei. Gli studi culturali incontrano delle difficoltà fondamentali nel descrivere e teorizzare la condizione post-comunista. E, francamente, non credo che per le realtà dell'Europa dell'Est un semplice adeguamento del quadro teorico e del vocabolario degli studi culturali sarebbero sufficienti a descrivere e discutere la realtà post-comunista. Cercherò di spiegare perché quest'adeguamento appare così difficile.

ø Privatizzazioni, o paradisi artificiali del postcomunismo
Il termine che senza dubbio caratterizza meglio il processo innescatosi dall'abdicazione del regime comunista in Russia, e nell'Europa dell'Est in generale, è privatizzazione. La totale abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione è stata considerata dai teorici e dai praticanti del bolscevismo russo come il presupposto fondamentale per la creazione di una comunità prima socialista e poi comunista. Questo, però, significava soprattutto che l'arte primeggiava sulla natura – sopra la natura umana e sopra la natura in generale. Solo dopo aver abolito i "diritti naturali" dell'umanità, incluso il diritto alla proprietà privata e le connessioni "naturali" all'origine, al patrimonio e alle "proprie" tradizioni culturali recise, la gente avrebbe potuto reinventarsi in un modo totalmente nuovo e libero. Solo chi non possiede più nulla è libero e disponibile a qualsiasi esperimento sociale.

ø L'Europa e i suoi Altri
Negli ultimi anni abbiamo sentito dire spesso da diversi politici europei che l'Europa non è solo una comunità d'interessi economicamente definiti, ma qualcosa di più – in altre parole, è il paladino di valori culturali che vanno sostenuti e difesi. Noi ovviamente sappiamo che nel linguaggio politico "qualcosa di più " normalmente significa "qualcosa in meno". In effetti, quello che i politici europei intendono è che l'Europa non può e non deve espandersi in maniera illimitata, ma deve fermarsi alla fine dei suoi valori culturali. Il concetto di cultura definisce, di fatto, i confini autoimposti dell'espansione politica ed economica, per quanto riguarda l'ambito di applicabilità della cultura europea è quindi più strettamente definita come l'area degli interessi economici europei. L'Europa si differenzia così rispetto alla Russia, alla Cina, all'India e ai paesi islamici, anche rispetto agli alleati Stati Uniti, presentandosi come una comunità internamente omogenea nei valori, che possiede una sua specifica identità culturale per chi arriva in Europa e alla quale deve conformarsi. La domanda che voglio sollevare qui non è se questa differenziazione, definizione dei valori culturali europei sia o non sia auspicabile. Invece, mi chiedo come siano esattamente definiti i valori culturali europei dai politici europei oggigiorno, e con quale risultato? Inoltre, quello che mi interessa è sapere come questa richiesta di identità culturale europea abbia effetto sull'arte in Europa.

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