storia segreta

introduzione
di Jeff Konkel
(Broke & Hungry Records)

Una sera dell'ottobre del 2005, mi ritrovai a tracannare un paio di birre in un grezzo juke-joint del Mississippi rurale. Una folla variegata di gente del posto e di turisti, uniti dalla passione comune per una delle forme d'arte più importanti d'America, il blues, era assiepata nel locale. In un angolo appartato c'era Big George Brock, un bluesman originario del Delta, impegnato a soffiare come un ossesso nella sua armonica. In tutto il locale, la gente batteva il piede e faceva oscillare la testa al ritmo della musica. Un paio di coppie ballavano con fare lascivo. Era il tipo di nottata per la quale gli appassionati di blues vanno matti. Col procedere della serata, attaccai bottone con un tizio seduto accanto alla porta, con una pila di CD. Il suo nome era Roger Stolle. Roger si era trasferito nel Delta da qualche anno per aprire il Cat Head Delta Blues & Folk Art, un negozio stracolmo di CD, dischi, libri, riviste e arte blues. Nel 2004 era diventato uno dei fondatori del Juke Joint Festival, un grande evento musicale di nuova creazione che si teneva a Clarksdale, Mississippi. E, nei mesi precedenti il nostro incontro di quella sera di ottobre, Roger aveva aggiunto il titolo "produttore discografico" al suo curriculum. Frustrato dal fatto che nessuna etichetta discografica avesse mai registrato Big George Brock, aveva preso la situazione in mano e aveva prodotto il CD di debutto di Big George, Club Caravan, che avrebbe ottenuto elogi in tutto il mondo. Pensai tra me: ecco uno che manifesta le sue intenzioni coi fatti. Tornai a casa mia, a St. Louis, spinto da una determinazione nuova. Ispirato dall'esempio di Roger, mi diedi immediatamente da fare. A tre settimane di distanza dal nostro incontro, creai la Broke & Hungry Records, un'etichetta discografica dedicata alla registrazione e promozione di artisti blues tradizionali del Mississippi. Negli anni che sono intercorsi, Roger e io abbiamo passato molto tempo insieme, bazzicando juke-joint, andando a trovare musicisti e collaborando a progetti relativi al blues, come il film M For Mississippi, che si è guadagnato dei premi. Da quando conosco Roger, non ho mai smesso di essere stupito dalla profondità della sua conoscenza e della sua passione per il blues. Nell'ultimo decennio, nessuno ha fatto più di quanto abbia fatto lui per promuovere e sostenere la ricca eredità del blues del Mississippi. Il suo negozio è diventato la mecca degli appassionati di blues e lui ha davvero lasciato il segno come scrittore, presentatore radiofonico, produttore musicale e cinematografico, manager di artisti, impresario e altro ancora nell'ambito del blues. I lettori di questo libro hanno una chicca tra le mani. Non potreste chiedere una guida migliore al passato, presente e futuro del blues del Mississippi. Buona lettura.

prefazione
di Roger Stolle
Elvis, la pubblicità e uno stato chiamato Mississippi

La mia introduzione al Blues
Sono cresciuto in una famiglia che non ascoltava molta musica. A mio papà piacevano i talk show, mia mamma aveva qualche album impolverato che mettevamo raramente sul giradischi e la mia sorella maggiore teneva i suoi dischi pop fuori dalla portata del suo fratellino decisamente meno ganzo di lei. Tutto ciò cambiò la mattina del 17 agosto 1977. Avevo dieci anni e vivevo a Dayton, Ohio. Quella mattina, mentre entravo nel salotto della nostra casetta di campagna, il giornale locale mi fissò dal pavimento di finte mattonelle. Un titolo cubitale sulla foto di un Elvis Presley tutto ingioiellato recitava, "Il Re è Morto a 42 Anni". Da quel momento, la vita, la morte, il funerale e i fan di Elvis occuparono la prima pagina del giornale tutti i giorni, per una settimana. Dopotutto, come aveva proclamato l'LP del 1959 di Presley, 50,000,000 Elvis Fans Can't Be Wrong (N.d.T. 50,000,000 fan di Elvis non possono certo sbagliarsi). Il pubblico voleva tutti i dettagli raccapriccianti della vita del Re – una vita favolosa e all'insegna di barbiturici – e del suo inglorioso trapasso al cesso. I fan volevano altra musica, altri film, altro Elvis. I quotidiani, le riviste, la radio e la televisione non li delusero. Vi racconto tutto questo per preparare il terreno. Dopotutto, come diavolo ha fatto un ragazzino bianco di dieci anni di un'area suburbana dell'Ohio a imbattersi nella musica blues e, vent'anni dopo, a trasferirsi nel Mississippi per esserle vicino? In una parola sola: Elvis. D'un tratto, la sua musica era ovunque. Mia mamma mandò a prendere l'LP Greatest Hits del Re, ordinandomelo alla TV, e io iniziai a spendere la mia meschina paghetta in ristampe su 45 giri dei suoi brani più vecchi. Grazie a un dozzinale registratore a cassette regalatomi da mio papà, cercai di catturare ogni canzone possibile da TV e radio e, lentamente, iniziai ad ascoltare la musica in maniera più critica. Iniziai a distinguere tra le canzoni pop in stile Hollywood-incontra-Vegas di Elvis e i suoi brani gospel, country e di influenza blues. Non passò molto prima che io tirassi fuori la musica che mi appassionava veramente dalla pila di cassette e vinili. Le versioni realizzate da Elvis di classici del Mississippi come "That's All Right" (Arthur "Big Boy" Crudup di Forest, Mississippi) e "Mystery Train" (Herman "Little Junior" Parker di Clarksdale, Mississippi). C'erano blues del profondo Sud e canzoni R&B come "Good Rockin' Tonight", "Milkcow Blues Boogie" e "When It Rains It Really Pours". Inizialmente, mi spinsi avanti e poi tornai indietro, ascoltando altri artisti, leggendo riviste e cercando ciò che rendeva quella musica così irresistibile e indimenticabile. Iniziai a prestare attenzione alle informazioni relative alle canzoni che comparivano sui dischi e, giorno dopo giorno, il quadro si fece leggermente più nitido. Quella musica passionale e inquieta non era il prodotto della storia della mia ascendenza bianca; era l'eredità di una forma d'arte afroamericana che proveniva dal Sud – lontano dal mio rassicurante Midwest – dalla terra del pesce gatto e del cotone. La musica era il blues. Lo stato era il Mississippi.

Come diventai scrittore
Sono uno scrittore praticamente da sempre, dannazione. Non un linguista. Non un poeta. Semplicemente uno scrittore. Al raggiungimento del primo mezzo metro d'altezza, realizzavo disegni primitivi su bigliettini da sette centimetri per dodici, immancabilmente accompagnati da una breve riga di testo, li agganciavo tra loro e presentavo ai parenti le mie storie dalle grezze illustrazioni. Ben presto, mi resi conto che ci sapevo fare decisamente più con le parole che con i disegni e, più tardi, che la scrittura sarebbe potuta essere la mia salvatrice di fronte alla mia vera nemesi, la matematica. Negli anni della crescita, la parola "libro" per me significò soprattutto saggistica. Avendo una personalità decisamente ossessiva, un hobby o una collezione portavano sempre a un altro: francobolli, monete, lattine di birra, vecchi quotidiani, macchinine primitive e persino farfalle, tanto per citarne alcuni. Li studiai e collezionai tutti (anche se, quanto alle farfalle, solo quelle più cazzute, più da maschio, ovviamente). Non è una sorpresa che il mio cammino sia stato spesso illuminato da guide pratiche e per collezionisti. La World Book Encyclopedia, l'enciclopedia universale, era un'altra delle mie letture preferite. Man mano che imparavo qualcosa del mondo, imparai anche a mettere insieme qualche parola. Ma passiamo rapidamente a un decennio fa circa. Eccomi approssimarmi al diploma di maturità superiore, a ritrovarmi seduto in un ufficio angusto dall'illuminazione al neon insieme a un indifferente funzionario per l'orientamento degli studenti. Quando gli dissi che avrei voluto fare il pilota di macchine da corsa (le macchine: un altro mio hobby) oppure l'avvocato (alle ragazze piace quella parola), per tutta risposta ottenni la classica espressione che ti spinge a laurearti in letteratura inglese. In seguito, per maggiore sicurezza, aggiunsi una specializzazione in giornalismo. Per finire, dopo quattro anni di Shakespeare, libri, esami e tesi di laurea, iniziai a rispondere a ogni inserzione che si aprisse o si concludesse con la parola "scrittore". Ben presto, mi ritrovai a scrivere testi pubblicitari per biancheria intima da donna e scarpe da uomini. Ben presto, divenni uno scrittore professionista.

Go West, Boy
Circa cinque anni più tardi, dopo aver fatto carriera fino a diventare senior copywriter, ottenni un posto da dirigente pubblicitario a St. Louis, Missouri. Mi ci trasferii e, sei mesi dopo, il mio capo fu licenziato. Da lì, si aprì una rapida successione di promozioni, prima in seno a quell'azienda e poi a un'altra. Alla fine, mi ritrovai nel ruolo di direttore del marketing, alle dirette dipendenze del presidente di un'azienda da diversi miliardi di dollari. Facevo viaggi di lavoro a New York, Chicago, Hong Kong, Taipei, Lubiana, ecc. Una squadra di persone di talento faceva riferimento diretto o indiretto al sottoscritto. Ottenevo aumenti di stipendio, stock option e vacanze premio. E il nostro era un lavoro creativo, fighissimo, che includeva creazione di marchi, grafica all'ultimo grido e persino sviluppo di prodotti. Sulla carta, era l'incarnazione del sogno americano. Poi, feci un viaggio in Mississippi.

 


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