Cara Ronza / Arte / 07-2007

Il fenomeno Eliasson. Per conoscerlo meglio.

Dal 16 ottobre 2003, per sei mesi il suo Weather project trasformò la Turbine hall della Tate modern in un luogo surreale e magnetico, visitato da oltre due milioni di persone. Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967) aveva acceso in nell’ex spazio industriale un abbagliante sole artificiale, avvolto in una nebbiolina di fumogeni. Oggi, mentre i Moma di San Francisco e New York stanno per dedicargli la prima grande retrospettiva, Postmedia pubblica Olafur Eliasson – La memoria del colore e altre ombre informali (96 pagg., 72 ill. a colori e in b/n, e 18,60), un libro, con scritti di Hans Ulrich Obrist, Paul Virilio, Gunnar B. Kvaran ed Emi Fontana, che presenta l’artista e la sua opera, in cui apparenza, realtà e verosimile si combinano in modi lirici e surreali, nell’ottica più che mai soggettiva secondo cui “la natura non esiste di per sé, ma coincide con il nostro modo di guardarla”.



Roberto Barzi / lettera.com / 05-2008

Grazie all'installazione The weather project Olafur Eliasson ha raggiunto un consenso di pubblico abitualmente sconosciuto agli interpreti dell'arte contemporanea. E questo libro è il tentativo di spiegarne il profilo nei dettagli, di comprendere le ragioni del suo consenso di pubblico, ma soprattutto le logiche della rappresentazione visiva delle sue opere composte perlopiù da installazioni che emanano luce e colori, nonché dalla fondamentale interazione con spettatori, scienziati e architetti e dalla cognizione di un mondo sempre meno disposto a considerare la parvenza delle immagini.

Olafur Eliasson: Per un'ecologia mentale

Il lavoro di Olafur Eliasson si colloca oltre la land art, come tentativo di irrompere nella profondità ottica delle apparenze [...] esso offre un buon esempio dell'incidente del tempo nello spazio delle arti plastiche, nell'epoca di questa repentina "tele-presenza" che è il nostro quotidiano; i suoi lavori silenziosamente ci reintroducono nel mistero dell'apparizione che condiziona tutto ciò che è verosimile.

Olafur Eliasson - la memoria del colore e altre ombre informali è un testo imperniato sul significato della meteorologia, del tempo, dell'architettura, dello spazio fisico ma soprattutto mentale, della luce, della percezione visiva, della vita, insomma. Tutto ciò appare subito chiaro a chi ha letto il bel volume critico-antologico dedicato ad Olafur Eliasson, il noto fotografo e artista danese "ambientale", o per meglio dire "ecologico". Un'ecologia, la sua, più metafisica che tangibile.
Si tratta certamente di un volume critico, ma soprattutto di un catalogo ragionato sulle opere dell'artefice. Sì, un libro illustrato, poiché se per comprendere la filosofia e la visione di Eliasson il testo è basilare, lo sono ancor più le numerose riproduzioni fotografiche che delucidano le fasi del suo lavoro.
Si è scritto che si tratta di un saggio sul tempo, e illustrare, o meglio ancora interpretare la natura, le condizioni climatiche, la luce, l'atmosfera sono, per l'appunto, le argomentazioni principali delle installazioni dell'artista. "[...] La visione egocentrica e strumentalizzante che abbiamo inflitto al nostro ambiente nel corso del secolo scorso, ha influenzato la determinazione di cosa siano la natura e la cultura e, di conseguenza, ha condotto ad un'idea gerarchica di cosa abbia valore, cosa sia bello, cosa valga la pena di salvare e così via.
Avendo capito che la complessità del rapporto tra natura e cultura soffre, quando viene data per scontata la loro contrapposizione, stiamo valutando e negoziando, come fa anche la scienza, nuovi punti di vista sulla natura e la cultura [...]" scrive lo stesso Eliasson in Vorrei fare un giardino. Cosa più importante, l'artista fa sempre in modo che il pubblico delle esposizioni sia compartecipe delle performance visive, che sia l'uomo in quanto tale a rispecchiarsi nella natura fittizia composta da spettri di luce, giochi ottici e prospettive ribaltate. L'uomo al centro dell'ambiente dunque, per quanto ipertecnologico possa essere diventato non tanto nella finzione scenica quanto nella realtà odierna.
Si è parlato di architettura e installazioni, come non essere quindi d'accordo con quanto scrive Eliasson in Un'arte esorbitante? Si legga questo brano: "[...] Visto che la presenza materiale dell'opera ora è meno significativa delle immagini che la riguardano, cos'è, oggi, l'ARTE DEL LUOGO? Da quando è comparsa la land art, questa domanda continua a turbare amanti e critici d'arte. Ma in verità c'è una domanda ancora più radicale: l'ARTE HA LUOGO? Al di fuori dai campi dell'architettura e della scenografia, questo quesito condiziona anche l'urbanizzazione e, più in generale, la geopolitica delle nazioni. Da qui l'enigma di ciò che, per mancanza di un termine migliore, la gente definisce installazione, quella di una comunità vivente oppure quella di una popolazione di oggetti, animati o inanimati [...]". Di tale genere di quesiti il volume è ricco, poiché si tratta di un'accurata cernita di scritti, colloqui, conversazioni, interviste che illustrano il punto di vista artistico, ma soprattutto vitale di Olafur Eliasson. Un'antologia dunque, una miscellanea studiata accuratamente a tavolino, poiché ciò che emerge non è tanto la figura dell'artista, ma quello che concepisce, progetta, installa e produce, giacché come scrive Gunnar B. Kvaran nel saggio intitolato Umanismo tecnologico: "Olafur Eliasson è generalmente considerato uno dei più grandi artisti viventi, anche grazie ai suoi rifacimenti della natura. Gli elementi (acqua, vapore, lava, fuoco, ghiaccio, vento e luce) sono gli ingredienti, i materiali grezzi dei suoi esperimenti artistici. Sono gli elementi con cui Eliasson compone, ma senza alcun tentativo di nasconderne le origini o i meccanismi."
Gli spazi espositivi sono tuttavia il tema principale dell'artista, poiché è esattamente in questi luoghi che realizza le sue installazioni. Siti sconvolti dalle performance tecnologiche, in cui le estensioni delle stanze si trasformano in scatole formate, o meglio deformate da pieni e vuoti esistenziali, in cui gli spazi dei musei si trasmutano in universi panici. Quali sono dunque i rapporti fra l'artefice e le dirigenze museali? In che modo la relazione fra spazio esterno e spazio interno viene stravolta dalle installazioni? Queste pur così apparentemente semplici domande sono in realtà, e da sempre, i veri dubbi che ogni artista si deve porre prima di usufruire degli ambienti di un museo. Come spiega Olafur Eliasson nel brano I musei sono radicali: "Le istituzioni culturali sono fra i molti 'sistemi immunitari' della nostra società autoreferenziale [...] Quando l'ideologia di una mostra o di un'esposizione non viene riconosciuta come parte della mostra in sé, il suo potenziale di socializzazione viene sacrificato in nome dei valori formali. Per evitare tale situazione, l'intera strategia ideologica, qualsiasi scelta di marketing, qualsiasi dettaglio architettonico deve non solo essere considerato come condizione e parte del progetto, ma anche come qualcosa da rivelare in qualche modo ai visitatori permettendo così una qualche trasparenza nel processo di mediazione."
Olafur Eliasson in questo libro dà le sue risposte, dei riscontri che possono non essere sempre condivisibili, illustrando comunque al lettore le principali tematiche artistiche del XXI secolo.


  Paola Noè / Label / 07-2007

Dopo la pubblicazione spagnola nel 2003 da parte della Editorial Gustavo Gili di Barcellona, dopo quattro anni, si è arrivati all’edizione italiana di una delle più interessanti riflessioni contemporanee sull’eterno rapporto tra arte e architettura. In occasione della versione in italiano, Artscape si amplia con l’aggiunta di un nuovo (e interessante, perchè dedicato ad artisti più giovani) capitolo intitolato “Quando l’arte definisce un sistema sociale”, in cui l’autore sofferma la sua attenzione sugli interventi più recenti: quelli, memorabili, di Olafur Eliasson con The Weather Project per la Turbine Hall alla Tate Modern (2003), o di Rirkrit Tiravanija con The Land, un vero e proprio villaggio costruito a Sanpatong in Thailandia, dove, in collaborazione con l'università locale, l’artista ha invitato altri colleghi, architetti, studiosi e studenti, a partecipare al progetto di costruire un luogo in cui vivere e creare. E poi ancora le ricerche di Andreas Gursky, Carlos Garaicoa, Francoise Roche, Philippe Parreno, Philip Rahm e Gabriel Orozco.
Luca Galofaro, partendo dalla sua formazione di architetto (è laureato in architettura e lavora a
Roma nello studio di architettura IaN+, da lui fondato nel 1997 con Carmelo Baglivo e Stefania
Manna), ripercorre le diverse ricerche condotte sullo spazio: dai Land artist degli anni Sessanta, che sono usciti dagli studi mettendo i loro lavori in rapporto con il paesaggio (e non più con il museo e la galleria), fino alle espressioni contemporanee, mettendo in evidenza il processo e l’azione esercitati sul paesaggio, e non soltanto il loro risultato formale. Lo stesso Garofalo nel prologo al testo spiega che il termine artscape “cerca di sintetizzare l’idea di un intervento sul paesaggio mediato da un approccio artistico”.


Following the 2003 Spanish edition published by Barcelona’s Editorial Gustavo Gili, four years later comes the Italian edition of one of the most interesting contemporary reflections on the eternal relationship between art and architecture. On the occasion of the release of the Italian version, Artscape expands with an additional new (and interesting, because dedicated to younger artists) chapter entitled “When art defines a social system", in which the author focuses on more recent interventions: memorable ones by Olafur Eliasson with The Weather Project for the Turbine Hall at the Tate Modern (2003), or by Rirkrit Tiravanija with The Land, a true and proper village built in Sanpatong, in Thailandia, where, teaming up with the local university, the artist invited other colleagues, architects, experts and students, to participate in the construction of a place where to live and create. And yet again, the researches by Andreas Gursky, Carlos Garaicoa, Francoise Roche, Philippe Parreno, Philip Rahm and Gabriel Orozco. Luca Galofaro, starting from his formation as an architect (he has a degree in architecture and works in Rome at the IaN+ architects firm, he founded in 1997 together with Carmelo Baglivo and Stefania Manna), he goes over the different researches conducted on space: from the 60s Land artists, who came out of their studios to put their works into a relation with the landscape (and not with museums and art galleries), up to contemporary expressions; underscoring the process and the action carried out on the landscape, and not just their formal result. Garofalo himself in the foreword to the book explains the term artscape, which “attempts to synthesise the idea of an intervention on the landscape mediated by an artistic approach”.





Serena De Dominicis / Arte e critica / 09-2007

“Fornire al soggetto una posizione critica o una capacità critica sulla propria posizione (...)” è la principale finalità di Olafur Eliasson: suggerire esperienze percettive che stimolino la sfera emozionale del singolo, creando occasioni per la libera riflessione individuale, così da preservare la soggettività e la ricchezza delle differenze contro la spinta crescente all’omologazione nella società contemporanea. La percezione e articolazione dell’ambiente, sia esso naturale o architettonico, si impongono come priorità che conducono l’artista a riconsiderare tanto il rapporto arte/natura, quanto la relazione arte/architettura per la configurazione di uno spazio sociale atto ad ospitare quello che è il fulcro della sua opera, ossia il meccanismo di partecipazione. A proposito di coinvolgimento (del corpo), Emi Fontana, parlando di The weather project realizzato alla Tate Gallery nel 2003, afferma che si tratta del “(…) più importante pezzo di body art del nuovo millennio”. Nonostante l’uso di elementi naturali come acqua, vapore, luce… nella produzione dei suoi “fenomeni effimeri” fortemente emozionali, l’interesse di Eliasson per la natura in senso stretto è secondario, così come lo è l’attenzione per la tecnologia, mezzo usato ad un livello low e senza mascheramenti, piuttosto “svelando il trucco”. Naturale e artificiale s’intersecano in una visione che si potrebbe definire neo-umanista. Con Eliasson siamo dunque all’interno di quell’estetica relazionale di cui tanto si parla dagli anni Novanta, ma siamo anche, suggerisce Kvaran, “(…) di fronte ad un’arte critica che condanna la disintegrazione del soggetto di natura postmoderna (…)”..



Guido Comis / Tema Celeste / 07-2007

Non è un saggio in senso tradizionale, quanto il tentativo di restituire una personalità creativa attraverso alcuni brevi interventi (di Hans Ulrich Obrist, Paul Virilio, Gunnnar B. Kvaran ed Emi Fontana) e una lunga successione di dichiarazioni dell’artista tratte da fonti diverse, per la maggior parte interviste comparse in cataloghi e riviste. Gli interventi critici, nella loro concisione, possono solo scalfire la superficie dei temi affrontati dall’opera di Eliasson: Gunnar B. Kvaran delinea una prima, ipotetica genealogia degli artisti che ne hanno ispirato le opere; Paul Virilio affronta il tema del rapporto fra opera, luogo e rappresentazione; Obrist accenna al carattere architettonico delle installazioni dell’artista islandese, mentre Emi Fontana ripercorre la propria esperienza di lavoro con lui. Una messe di suggestioni che, unite alle dichiarazioni autografe, invitano all’approfondimento.
AA.VV., "Olafur Eliasson – la memoria del colore e altre ombre informali", Postmedia Books
(www.postmediabooks.it), 2007, p. 96, 21 x 15 cm.
 
 

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