Antonio Carnevale / Panorama / 22-05-2007

Feedback: un libro su Franco Vaccari, fotografo dell’inconscio tecnologico

Feedback, scritti su e di Franco Vaccari: un libro d’arte che costa come un tascabile (18,60 euro) e ripercorre l’opera di uno dei più grandi artisti concettuali italiani.
Vaccari ha scelto come suo mezzo privilegiato la macchina fotografica. E per quanto ogni artista si aspetti che le proprie opere generino conseguenze, Vaccari si è mosso fin dal principio della sua attività con l’intento preciso di innescare dei processi realmente osservabili: creare nuove situazioni determinate dalle sue opere. Ovvero generare feedback, come recita appunto il titolo del volume.
Un esempio tra i tanti è nell’opera Il mendicante elettronico (del 1973), in mostra allo spazio Oberdan di Milano nella rassegna dedicata all’artista fino al 27 maggio (qui la gallery con le alcune delle opere esposte). La location dell’opera è un angolo qualunque di una città qualunque, dove generalmente un mendicante tende il proprio cappello chiedendo l’elemosina e i passanti gli transitano davanti indifferenti. L’intervento dell’artista altrea però il comportamento dei passanti. Vaccari sostituisce il mendicante in carne ed ossa con un televisore che mostra soltanto l’immagine del cappello. Attorno al monitor cominciano così a fermarsi delle persone incuriosite. E dopo un po’ c’è un intero drappello di spettatori immobili davanti all’insolito spettacolo. L’operazione (ripresa a sua volta in un diversi scatti fotografici) mostra il paradosso tra l’indifferenza nei confronti di un clochard e la curiosità per un comune monitor. Ma si presta anche a riflessioni sul potere dei media e del gesto artistico.
Feedback, a cura di Nicoletta Leonardi, è edito da Postmedia books. E il titolo, parola chiave di ogni opera di Vaccari, si riferisce anche alla composizione interna del volume: un’antologia dei più importanti scritti usciti fin’ora sull’artista i quali, accostati a quelli dello stesso Vaccari, assumono la forma di in un botta e risposta tra le opinioni di critici e le idee del fotografo. Tra i contributi dell’antologia, gli scritti di Renato Barilli, Gillo Dorfles e Roberta Valtorta.


Cara Ronza / Arte / 09-2007

Feedback. Una foto può farti cambiare direzione

Franco Vaccari (Modena, 1936) partecipa alla Biennale di Venezia del 1972 tappezzando una lunga parete con migliaia di fototessere. A strisce di quattro, mostrano il volto di chi ha accolto il suo invito a lasciare “una traccia fotografica del proprio passaggio”. Non un happening né una performance, spiegava allora Vaccari, ma un intervento con lo scopo di “suscitare nel visitatore un salto nella coscienza di esserci”, e di provocare un feedback, un cambio di direzione in tempo reale, l’indirizzo imprevedibile che una sosta di riflessione può causare. È questo impegno mai tradito a dare oggi il titolo al volume di Postmedia (Feedback, 176 pagg., e 18,60), in cui Nicoletta Leonardi ha raccolto i numerosi scritti di Vaccari, altrimenti dispersi in riviste, libri d’artista e inediti, e una selezione di testi critici dedicati al suo lavoro.



Alessandro Oldani / Società Italiana per lo Studio della Fotografia / 07-2007

“La fotografia non come rappresentazione ma come suscitatrice di azioni”: così, con una sua stessa frase, potrebbe essere descritta in sintesi la particolare poetica del fotografico di Franco Vaccari.

Di questo artista, uno dei più significativi protagonisti del clima delle neo-avanguardie instauratosi a partire dagli anni sessanta-settanta, vengono ora ripubblicati numerosi scritti, accanto ad alcuni importanti contributi critici su di lui, in questo volume felicemente curato da Nicoletta Leonardi per le edizioni Postmedia books. Il libro è uscito in occasione della retrospettiva di Vaccari appena conclusasi presso lo Spazio Oberdan di Milano, curata da Leonardi assieme a Vittorio Fagone, che ha permesso di ripercorrere circa trent’anni di carriera dell’artista modenese.
La prima parte del testo raccoglie i contributi su Vaccari, pubblicati dagli anni sessanta agli anni ottanta da Adriano Spatola, Gillo Dorfles, Daniela Palazzoli, Renato Barilli, Pietro Bonfiglioli, Roberta Valtorta, Adriano Altamira e Claudio Marra; nella seconda parte si possono invece rileggere ben ventotto scritti di Vaccari, usciti spesso su riviste e cataloghi oggi difficilmente rintracciabili. Il volume è arricchito da una bibliografia e da un apparato illustrativo che riproduce buona parte dei lavori esposti alla retrospettiva di Milano.
Franco Vaccari è uno degli artisti italiani che più si è avvicinato a quell’area di ricerca variamente definita con le etichette del concettualismo, dell’arte comportamentale e della Narrative art, area tesa al superamento delle categorie tradizionali di opera e di rappresentazione, per lavorare su uno spettro estetico più allargato, che comprende le azioni, i gesti, le immagini del quotidiano per quanto banale ed effimero, oltre che il rapporto attivo con lo spettatore.
Nel contesto di questo lavoro, che prevede l’uso di svariati linguaggi e materiali, la fotografia ha un ruolo centrale, esemplificato dalla più famosa delle opere dell’artista, quella “Esposizione in tempo reale” in cui egli mise a disposizione del vasto pubblico della Biennale di Venezia del 1972 una cabina per fototessere, con la quale chiunque poteva realizzare un proprio autoritratto istantaneo e affiggerlo alla parete, allo scopo di lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Già questo lavoro ci fa comprendere la natura appunto di traccia, di segno impersonale e collettivo, che ha per Vaccari la fotografia, all’estremo opposto di una concezione autoriale e stilisticamente connotata del mezzo fotografico. Nulla di più lontano dallo sguardo del grande fotografo che isola un istante privilegiato, un momento eccezionale incorniciato dalla sapiente costruzione formale dell’immagine (attitudine che nel Novecento è rappresentata in maniera sublime dalla poetica del “momento decisivo” di Cartier-Bresson).
La presentazione degli scritti dell’artista accanto alle testimonianze critiche che con più attenzione hanno accompagnato il suo lavoro è molto preziosa, in quanto testimonia di un altro tratto significativo del suo procedere, ovvero del duplice fronte su cui lavora da sempre: la creazione artistica da una parte e la riflessione teorica dall’altra. Atteggiamento questo che lo accomuna a molti artisti delle neoavanguardie e anche agli scrittori e ai letterati di quella stagione.
Proprio tra questi due versanti del lavoro ormai trentennale di Franco Vaccari si stabilisce infatti, secondo la curatrice del volume, quel feedback, quel dialogo continuo tra due poli cui è ispirato il titolo del libro. Un concetto, questo di feedback, che è del resto centrale a tutto il suo operare, inteso anche come dialogo tra l’opera e lo spettatore, tra l’immagine e il fruitore, tra l’idea dell’artista e le reazioni, a volte imprevedibili, che essa suscita in un contesto collettivo.
Alcuni dei saggi critici raccolti nel volume sono particolarmente incentrati sull’uso della fotografia: è il caso del testo di Adriano Altamira “Il collezionista di immagini”, che vede Vaccari come raccoglitore e classificatore di immagini trovate o create da anonimi operatori su sua sollecitazione (è il caso delle Photomatic, le cabine per fototessera usate da Vaccari), analogamente ad altri artisti che hanno usato la fotografia in tal senso, quali Annette Messager o i coniugi Becher. Oppure della recensione firmata da Roberta Valtorta del saggio di Vaccari “La fotografia e l’inconscio tecnologico” (Modena, Punto e Virgola, 1979), testo che viene messo in rapporto con il pur diversissimo “Sulla fotografia” di Susan Sontag per analoga ampiezza di orizzonti e verve polemica. Ancora su temi di interesse fotografico è la presentazione, da parte del poeta visivo Adriano Spatola, di un volume dell’artista modenese, intitolato “Tracce” e consistente in una raccolta fotografica di anonimi graffiti urbani: ma per Spatola, la distanza con analoghe imprese (i graffiti di Brassaï, le foto dei muri di Siskind) è nel carattere impersonale del dispositivo fotografico, mentre non interessa nessuna forzatura stilistica e tecnica rispetto alle possibilità del mezzo stesso.
Ciò che invece colpisce nei saggi scritti in prima persona da Vaccari è la natura assai eterogenea dei suoi intereventi, che non riguardano solo il suo lavoro e la sua poetica, ma che ce lo mostrano come osservatore lucido e attento della realtà artistica, politica e sociale attorno a lui. Contributi a volte criticamente scomodi e polemici sulla fotografia (la recensione di un album fotografico sull’Africa, che ne smaschera la costruzione coloniale dello sguardo), riflessioni sull’architettura e il design nell’età postmoderna, prese di posizione sull’arte degli anni ottanta, così lontana dal lavoro di Vaccari nella sua resa euforica al mercato e ai miti dell’artista romantico e ingenuamente creativo: sono testi brevi ma illuminanti, che fanno dell’artista modenese una figura quanto mai interessante anche sul versante della critica.


Stefano Scipioni / SuperEva / 04-2007

A partire dalle riflessioni scaturite dalla personale di Franco Vaccari recentemente inaugurata allo Spazio Oberdan (dal 14 febbraio al 13 maggio 2007) Feedback traccia lo sviluppo dell'opera di Franco Vaccari dalle origini fino agli Anni Ottanta attraverso una significativa letteratura critica sull'artista e una selezione di scritti dello stesso Vaccari.
In mostra, infatti, sono esposti anche 21 libri d’artista realizzati tra il 1965 e il 2003. Vaccari è un artista che ha sempre privilegiato la riflessione sul proprio lavoro e sull'arte in genere come testimoniano anche i due saggi Duchamp e l’occultamento del lavoro (1978) e Fotografia e inconscio tecnologico (1979).
Le numerose esposizioni in tempo reale, che Franco Vaccari ha ideato e realizzato dal 1969 ad oggi, sono un episodio di grande importanza dell'arte concettuale. Ingrediente fondamentale delle esposizioni in tempo reale è il coinvolgimento diretto dell’osservatore nella realizzazione di interventi spesso effimeri e provvisori, in cui l'artista da produttore unico ed originale si trasforma in colui che innesca un evento senza necessariamente controllarne gli esiti. L'opera si sviluppa in relazione al modo in cui il pubblico la recepisce e reagisce ad essa, contribuendo a determinarne il significato. Opere aperte e corali realizzate sia dentro i confini istituzionali dell’arte che direttamente nel tessuto urbano, le esposizioni in tempo reale invitano chi è coinvolto nell'operazione a interrogarsi sulla propria identità sociale e sulle dimensioni pubbliche e private dell’esperienza.



Antonello Frongia / Camera Austria / 09-2007

(...) So wichtig die Vorstellungen des »technischen Unbewussten« und der »Esposizione in tempo reale« für das Verständnis von Vaccaris Ansatz sind, so sind sie doch nicht als theoretische Formeln zu sehen. Ein soeben erschienener, vom Künstler selbst gemachter Band, der die 36 »Esposizioni in tempo reale« dokumentiert, und eine von Nicoletta Leonardi herausgegebene Essaysammlung mit dem bezeichnenden Titel Feedback. Scritti su e di Franco Vaccari (Schriften zu und von Franco Vaccari) lassen uns ein tieferes Verständnisvon Vaccaris dialektischer Kunst gewinnen, die oft gerade wegen ihrer destabilisierenden Auswirkungen auf die Mechanismen der Kulturindustrie marginalisiert wurde.4 Die Essays der Sammlung (u.a. von Gillo Dorfles, Renato Barilli und Adriano Altamira) vermitteln uns zwar kritische und historische Einblicke in Vaccaris Werk, wirklich anregend wird das Feedback aber vor allem dann, wenn wir den Künstler im Gespräch erleben (etwa in jenem mit Pietro Bonfiglioli 1976) und wenn er auf Fragen und Themen zu sprechen kommt, die nur indirekt mit seinem Werk zu tun haben. (...)



Roberto Barzi / Lettera.com / 10-2007

"La fotografia non come rappresentazione, ma come suscitatrice d'azioni". Così, con lo stesso tipo di frase, potrebbe essere rappresentata la "poetica del fotografico" di Franco Vaccari, ed è proprio questa che in particolare sprigiona da Feedback. Partendo dalle riflessioni scaturite dall'esposizione personale di Vaccari - svoltasi lo scorso anno allo "Spazio Oberdan" di Milano - la miscellanea traccia lo sviluppo della sua opera, dalle origini fino agli anni '80, attraverso una concreta letteratura critica sull'artista ed una selezione di scritti dello stesso artefice. L'opera si sviluppa così in relazione al modo in cui il pubblico la comprende e reagisce a essa, concorrendo a specificarne il significato. "Opere aperte" e collettive realizzate sia nei confini istituzionali dell'arte che nel tessuto urbano, queste particolari "esposizioni" invitano chi è coinvolto nell'azione ad interrogarsi sulla loro effettiva identità.
Feedback è la parola chiave di ogni opera ed installazione di Vaccari, ma in questo caso si riferisce soprattutto alla composizione del volume: un'antologia critica dei più importanti scritti usciti finora sull'artista che, collegati ai suoi saggi, prendono la forma di una disputa teorica fra le interpretazioni soggettive dei vari critici d'arte e le riflessioni dell'artista/fotografo. Un libro sull'arte che costa come un "pocket book" e che vuol ripercorre l'opera di uno dei più grandi artisti concettuali italiani. Un'opera nata per far fronte ad una doppia esigenza: approfondire la riflessione storico-critica sulle opere di Franco Vaccari e riscoprire un periodo della storia dell'arte italiana, che va dalla seconda metà degli anni '60 alla prima degli anni '80, ancora oggi semisconosciuto, se non per la cognizione che si ha di una buona porzione della "Arte povera" e della "Transavanguardia". Una serie di testi che intendono ripensare non tanto alla "evoluzione ricercatrice di un protagonista del concettualismo internazionale", che ha trasfigurato in maniera fondamentale non solo le modalità di rivolgere lo sguardo alla "pratica artistica", ma alla stessa "storia della letteratura critica" - indirizzata soprattutto all'analisi del "rapporto fra l'arte dei mezzi cosiddetti extra-artistici" - che Vaccari ha instradato e dai quali è stato, a sua volta, coinvolto. Gli scritti sono stati raccolti in due sezioni ben distinte, ordinate cronologicamente.
La prima contiene i saggi di Adriano Altamira, Renato Barilli, Pietro Bonfiglioli, Gillo Dorfles, Claudio Marra, Daniela Palazzoli, Adriano Spatola e Roberta Valtorta, pubblicati in un periodo che va dagli esordi della carriera artistica di Franco Vaccari fino agli anni '80. La seconda presenta una vasta cernita degli scritti dell'artista emiliano dagli anni '60 fino a oggi, alcuni dei quali mai pubblicati. L'accostamento degli scritti sull'artista con quelli dello stesso artefice colloca in rilievo le difficoltose relazioni frappostesi fra i "significati" protesi su un lavoro e i "significati" da questi concepiti. Da qui il titolo del libro. Del resto, tutta l'indagine di Vaccari - che non a caso si è laureato in Fisica - ruota essenzialmente attorno al "concetto di 'feedback', all'idea del lavoro artistico come frutto dell'incontro fra uno stimolo e la relazione da questo suscitata nel contesto di una specifica situazione, della realtà intesa come sistema dinamico".I ventotto saggi di Vaccari comprovano la ricchissima e quanto mai polimorfa produzione critico-teorica dell'autore. Come alcuni suoi contemporanei, a partire dagli anni '60 l'artista concettuale sgretola le canoniche demarcazioni disciplinari dell'arte, influendo sia sul fronte della "pratica artistica" sia su quello "della critica e della teoria".

Feedback: Il collezionista di immagini

In campo artistico gli anni '70 sono stati caratterizzati dal rigore dell'Arte Concettuale. Era inevitabile, come puntualmente si è verificato alla fine del decennio, una reazione e un ritorno di una serie di aspetti del fare arte che in quegli anni erano stati rimossi per non dire castigati.
Un ritorno trionfante, espresso in quelle forme "esagerate" in cui l'immaginario d'appendice crede che consista l'arte. E' stato un trionfo della poeticità a priori e dei miti più triviali sulla figura dell'artista.

Franco Vaccari è un esteta visivo che ha sempre approfondito la riflessione sul proprio lavoro e sull'arte in generale, come possono confermare alcuni suoi saggi, fra i quali Duchamp e l'occultamento del lavoro (1978), e Fotografia e inconscio tecnologico (1979). Così come le sue numerose quanto note Esposizioni in tempo reale, che Vaccari ha concepito e realizzato dal 1969 a oggi, sono degli avvenimenti di rilevanza nell'Arte Concettuale.
Naturalmente per l'artefice/fotografo l'ingrediente fondamentale delle "esposizioni in tempo reale" è il coinvolgimento diretto dell'osservatore nella loro concretizzazione, spesso provvisoria ed effimera, in cui l'artista - da produttore unico e originale - si trasfigura in colui che determina una nuova situazione, senza obbligatoriamente controllarne gli esiti.
L'artista ha scelto come mezzo primario la macchina fotografica - "Chiedersi dove va la Fotografia è come interrogarsi sul destino del telefono. Entrambi hanno prodotto le loro mutazioni una volta per tutte al punto che esse sembrano entrate a far parte del nostro patrimonio genetico." Franco Vaccari da Apollo e Dafne: un mito per la fotografia -, e per quanto ogni artista si aspetti che le proprie opere producano ripercussioni, lui si è mosso fin dagli esordi della sua attività con l'intenzione di attivare dei processi concretamente percepibili: creare nuove circostanze determinate dalle sue opere. Vaccari è uno degli artisti italiani che più si è avvicinato a quell'area di ricerca diversamente definita con le varie etichette di Concettualismo, arte Comportamentale e Narrative art, un'area protesa al superamento delle categorie tradizionali di prodotto e di rappresentazione, per operare in un campo d'azione estetica più vasto, che include le azioni, i gesti, le immagini del quotidiano per quanto privo d'originalità e temporaneo possa essere. Nell'ambito di quest'operazione, la fotografia ha un ruolo centrale - esemplificato dalla più famosa delle opere dell'artista, quella Esposizione in tempo reale in cui egli mise a disposizione del pubblico della Biennale di Venezia del 1972 una cabina per fototessere, con la quale chiunque poteva realizzare un proprio autoritratto e fissarlo alla parete, allo scopo di lasciare un documento del proprio passaggio. Già questo genere d'operazione fa comprendere la complessa struttura composta di tracce, segni impersonali e allo stesso tempo pubblici che ha per Franco Vaccari la fotografia, fissata al punto estremo di una concezione dell'autore pur stilisticamente connotata all'uso fotografico.
La raccolta degli scritti dell'artista - accanto alle più svariate attestazioni critiche che con più considerazione hanno accompagnato il suo lavoro - è d'inestimabile valore poiché comprova un diversificato tratto distintivo del suo inoltrarsi nella sperimentazione visiva, ossia nel duplice fronte su cui lavora da sempre: la creazione artistica e la riflessione teorica. Comportamento che lo equipara a molti altri artisti delle neoavanguardie, agli scrittori e agli intellettuali di quella stagione. Proprio tra questi due versanti dell'operazione ormai trentennale di Franco Vaccari, si stabilisce - secondo la curatrice del volume - quel "feedback" e quello stesso dialogo insistente fra due poli, di cui è infuso il titolo del libro. A tale scopo è stata fatta una vasta, quanto seria e paziente attività di recupero e di selezione di molti testi disseminati in riviste e cataloghi, alle volte di difficile reperibilità.
Alcuni dei saggi critici raccolti nel volume sono proprio incentrati sull'uso della fotografia: è il caso del testo di Adriano Altamira Il collezionista di immagini, che reputa Vaccari un raccoglitore e classificatore di sembianze scoperte o create da incogniti operatori, ma su sua diretta sollecitazione. E' il caso delle Photomatic, le cabine per fototessera usate da Vaccari, analogamente ad altri artisti quali Annette Messager o i coniugi Becher. Oppure la recensione, firmata da Roberta Valtorta, del saggio di Vaccari La fotografia e l'inconscio tecnologico del 1979, testo paragonato al pur discorde Sulla fotografia di Susan Sontag per l'analogia d'orizzonti e vivacità polemica. Ancora sulla stessa tematica è la presentazione, da parte del poeta visivo Adriano Spatola, di un volume dell'artista modenese intitolato Tracce, consistente in una miscellanea fotografica d'ignoti graffiti urbani, ma che per Spatola rappresentano il distacco con analoghe imprese - ad esempio quelle di Brassaï, le foto dei muri di Siskind -, nella natura impersonale del meccanismo fotografico, mentre non interessa nessuna forzatura stilistica e tecnica in relazione alle possibilità del mezzo stesso. Ciò che più colpisce nei saggi scritti in prima persona da Franco Vaccari è la loro natura assai composita, che non concerne solo il proprio lavoro e la sua poetica, ma che lo ritrae come una persona lucida e attenta alla realtà artistica e politico-sociale che ruota attorno a lui. Interventi a volte scomodi quanto critici sulla fotografia - come si evince dalla recensione di un album fotografico sull'Africa che rivela la struttura coloniale dello sguardo, un po' alla maniera di Joseph Conrad in Cuore di tenebra: "Questi fotografi hanno fotografato l'Africa, ma in realtà non hanno visto niente: è la violenza dello sguardo che si applica alle differenze solo per cancellarle [...] " -, riflessioni sull'architettura e il design nell'età postmoderna, posizioni sull'arte degli anni '80, così lontana dal lavoro di Vaccari nella sua "resa euforica" al mercato e ai miti dell'artista romantico e ingenuamente creativo: testi magari poco estesi ma illuminanti, che fanno dell'artista modenese una figura quanto mai notevole anche sul versante critico. Leggendo attentamente questa serie di studi emerge quanto l'artista riflette sulle tematiche essenziali che percorrono, fin dagli inizi, il suo lavoro: la disgregazione dell'oggetto estetico modernista, l'utilizzo degli strumenti mass mediatici quali la fotografia, il film e il video, al fine di costringere lo spettatore in uno svolgimento di partecipazione critica, non ultimo l'accento sulle particolari condizioni delle circostanze - spaziali, temporali e corporee -, dell'esperienza. Egli affronta inoltre problematiche quali il modo in cui l'arte contemporanea assimila le tecnologie e i codici della cultura dello spettacolo, la riproduzione dell'esperienza privata e di quella pubblica "nel momento in cui l'industria culturale invade gli spazi, le istituzioni, le pratiche dell'avanguardia". La crisi del concetto di "sfera pubblica", determinata dall'invasione della vita quotidiana da parte delle nuove tecnologie e dei mass media, è certamente la parte dominante con cui Vaccari si è comparato, e si compara tuttora, nello sforzo di rappresentare e, allo stesso tempo, narrare la "soggettività".


Antonello Frongia / Il Manifesto / 01-08-2007

Franco Vaccari, nomade cacciatore di immagini

Un catalogo che documenta le trentasei «Esposizioni in tempo reale» realizzate dall’artista e una raccolta di saggi intitolata «Feedback» ripercorrono le fasi di questa opera profondamente pubblica e molto attuale, che esplora i temi della sorveglianza, della tecnologia, del rapporto fra individuale e collettivo

In Italia il rapporto tra fotografia e concettualità è segnato da due opere memorabili degli anni Settanta: l’Esposizione in tempo reale n. 4 di Franco Vaccari (presentata alla Biennale di Venezia nel 1972) e le Verifiche di Ugo Mulas (esposte a quella del ‘74, un anno dopo la morte dell’autore). Entrambe centrate sul disvelamento dei meccanismi del discorso fotografico e spesso considerate in parallelo, esse provengono da programmi diversi e in certo senso inconciliabili. Per Mulas, neorealista negli anni Cinquanta, intelligente fotografo della scena pop americana e di artisti come Fontana e Duchamp, le Verifiche furono un estremo tentativo di indagare le variabili operative dalla fotografia intesa come forma di rappresentazione, allo stesso modo in cui Antonioni, in film come Blow-up o Professione: reporter aveva esplorato la falsa (seppur avvincente) obbiettività della registrazione fotografica. Per Franco Vaccari - fisico di formazione e legato alla neo-avanguardia del Concettuale, della Narrative Art, del Comportamentismo - la fotografia è soprattutto un processo comunicativo e sociale: un esperimento che all’autore compete di avviare, occultando il più possibile la propria presenza e demandando al pubblico il rischio di una possibile interpretazione, che è interrogazione non dell’opera ma di sé e del reale. Se le Verifiche erano, e restano, oggetti di contemplazione e di meditazione nello spazio algido della mostra d’arte, l’Esposizione in tempo reale del 1972 (intitolata Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio) invitava gli spettatori della Biennale a scattarsi una foto-tessera con una macchina automatica installata in sala e ad affiggerla su un muro, contribuendo a un moderno mosaico collettivo dal disegno imprevedibile: un procedimento interessato ai risvolti antropologici della fotografia più che alla sua ontologia. Nato nel 1936, poeta visivo, fotografo, video-artista, critico, educatore, Franco Vaccari ha lavorato per quarant’anni nella zona d’ombra di un’arte relazionale che Adriano Spatola, già nel 1966, definiva un «salto nel mondo». A partire dalla prima Esposizione in tempo reale (Viaggio+Rito), nel 1969, Vaccari ha utilizzato l’installazione come motore «leggero», talvolta fintamente ironico o svagato, in grado di muovere il pubblico a un’azione riflessiva. Il fondamento metaforico di questa leggerezza era già presente in un video dello stesso anno, Ventoscopio, che contrapponeva alla fissità del monumento il movimento effimero di un nastro di carta mosso dall’aria. Nel corso degli anni questo approccio si è avvicinato sempre più a specifici temi politici o sociali. È il caso di Bar Code-Code Bar (1993), di nuovo alla Biennale, dove in un vero bar con tavolini, luci soffuse e un distributore di bevande era presentata in un pannello la vicenda di Silvia Baraldini, allora ancora detenuta negli Stati Uniti per reati di opinione; o del video Lontano da… (1995), dedicato alle badanti rumene e alle loro abitudini nei momenti di svago. L’ultima Esposizione in tempo reale, allestita in una retrospettiva a cura di Vittorio Fagone e Nicoletta Leonardi da poco conclusa allo Spazio Oberdan di Milano, era intitolata Biomassa: una bilancia per carichi in movimento, invece di contabilizzare il numero di biglietti venduti, misurava il peso totale dei visitatori della mostra - la traccia biologica, invece che fotografica, di un ecosistema dell’arte. Un ampio catalogo che documenta le trentasei Esposizioni in tempo reale realizzate dall’artista e una raccolta di saggi a cura di Nicoletta Leonardi intitolata significativamente Feedback. Scritti su e di Franco Vaccari (Postmedia Books) permettono oggi di ripercorrere in tutta la sua attualità il senso di quest’arte profondamente pubblica, a lungo marginalizzata proprio per il suo rifiuto programmatico di utilizzare le strategie della tecnica e dello stile per produrre oggetti e quindi merce. A gettare una luce nuova sulla ricerca di Vaccari è proprio la destabilizzante dialettica tra parole e immagini che l’artista ha sempre coltivato nei suoi libri e che non ha consentito di collocarlo in nessuno schema dell’industria culturale. In effetti il feedback più stimolante sembra realizzarsi tra le parole e le opere che Vaccari è venuto elaborando nel corso degli anni. A colpire infatti è il carattere non strumentale e asistematico della sua riflessione: Vaccari non scrive mai per fornire un valore teorico alle proprie opere - in questo, paradossalmente, sta la sua coerenza. Gli argomenti discussi sono disparati: dalle teorie della comunicazione alla filosofia, da Beuys a Yves Klein, dall’album di famiglia ai fotografi della «Scuola di Düsseldorf», attraversando la critica al Surrealismo, il sogno come dimensione vitale e non escapistica, il corpo e la nudità, il ruolo della maschera, la catastrofe, l’entropia. Tanto rizomatico nella scelta dei temi quanto essenziale nella precisione della lingua, il vagare pensoso di Vaccari è una avventura «antisemiotica» che evita ogni schematizzazione didattica: si ricollega, piuttosto, a quella base antropologica del fare artistico che Emmanuel Anati, in Origini dell’arte e della concettualità, identificava con i cacciatori nomadici, non affetti dall’ansia della conservazione e dal culto dell’oggetto. Nelle sue riflessioni Vaccari ritorna su un concetto che ha innervato buona parte della sua produzione degli anni Settanta e che dà il titolo all’opera teorica del ‘79 per la quale sinora era più conosciuto, Fotografia e inconscio tecnologico. Derivata da Mashall McLuhan e da Walter Benjamin, l’idea di una struttura sottesa alle tecniche di rappresentazione a bassa risoluzione (la televisione, la fotografia al suo «grado zero», la Polaroid) è proposta da Vaccari anzitutto per ribadire la necessità di un’arte «senza autore». In una notazione di passaggio, Pasolini dichiarava di essere interessato alle fotografie di cronaca per gli accidenti involontari che comparivano sullo sfondo più che per il soggetto principale scelto dal fotografo. Con un intento analogo, negli anni Sessanta, un artista concettuale come Ed Ruscha aveva prodotto serie fotografiche «al grado zero» riprendendo le facciate delle anonime abitazioni di Sunset Boulevard o la trama geometrica di alcuni parcheggi di Los Angeles ripresi dall’alto. Tuttavia per Vaccari, legato all’antropologia di Lévi-Strauss più che alla psicologia di Jung e di Freud, l’inconscio tecnologico dei nuovi media permette di esplorare anche un’altra dimensione: l’immaginario collettivo delle maggioranze silenziose. L’Esposizione in tempo reale del 1972 (e molte successive) opera sulla «estetica dei grandi numeri», ovvero come laboratorio sismografico che registra il riverbero di piccole scosse di reazione a un esperimento apparentemente innocuo come farsi una fotografia. Anche qui esiste forse un precedente alla scoperta di Vaccari: l’atlante sociale della Germania di Weimar compilato da August Sander riprendendo centinaia di cittadini di diverse classi sociali. Contrariamente a Sander, tuttavia, Vaccari non ha di mira una classificazione sociologica. A ben vedere, l’effetto più politico del suo lavoro viene raggiunto proprio quando l’inconscio sociale non si deposita in una forma, ma è solo perturbato da minimi atti di détournement senza effetti concreti: esplorare di notte il parcheggio di uno stabilimento con una pila in mano, accettare un «trattamento completo» in un albergo diurno, che include un non meglio identificato «supplemento estetico». Acutamente Nicoletta Leonardi ha indicato in queste situazioni di micro-conflitto tra pulsioni soggettive e comportamento pubblico un tratto distintivo e attuale di tutto il lavoro di Vaccari. La soglia fisica della porta/schermo e lo spazio della stanza - variamente delimitata da pareti, tende, oggetti di uso comune - sono elementi ricorrenti nell’immaginario dell’artista. Non a caso l’Esposizione in tempo reale n. 5 (1973) è intitolata Spazio privato in spazio pubblico: due stanze cubiche, senza finestre, in collegamento video tra loro, create all’interno dello spazio aperto della galleria d’arte. Anche in questo caso nessun accadimento è progettato, ma solo uno spazio di relazione che fa emergere dalla sua normale inconsistenza il «tempo reale» della vita quodiana. Che cosa è esterno, che cosa interno? Che cosa fare, potendo osservare nel privato di un’altra stanza, ma consapevoli di essere a nostra volta osservati? Esplorando sin dagli anni Settanta temi come la sorveglianza, la tecnologia, il rapporto tra individuale e collettivo, e proponendo i concetti di «traccia» e «inconscio tecnologico», Franco Vaccari ha anticipato formulazioni teoriche oggi in voga (come quelle di Roland Barthes o Rosalind Krauss) e le pratiche interdisciplinari dell’arte pubblica e relazionale. La sua programmata destabilizzazione dei meccanismi istituzionali dell’arte è forse una delle ragioni del ritardo della cultura italiana nell’apprezzare il suo ruolo di innovatore e la sua statura internazionale, al pari di artisti concettuali come Vito Acconci o teorici militanti come Victor Burgin. Un ritardo che conferma l’inadeguatezza del sistema italiano dell’arte nel riconoscere la centralità della fotografia e dei lens-based media nella storia della visualità contemporanea.

 
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