Lorena Bari / Nonsolomoda / puntata del 22-04-2007

Nell'epoca di un'architettura urlata, che punta al cielo ed esalta la materia esibita, un'altra architettura privilegia il dialogo al soliloquio, la mimesi all'ostentazione. E' l'architettura che trae suggestioni dall'arte e riproduce un paesaggio artificiale come continuazione della superficie terrestre, che tiene conto delle relazioni umane, dialoga con l'ambiente e restituisce il camminare come pratica estetica. A questo bisogno di narrazione e ascolto, silenzio della materia e capacità di accettare anche il vuoto, si dedicano volumi, saggi e riproduzioni cromatiche... Un architetto, Luca Garofalo dello studio Ian+, ne ha fatto un libro che è un quaderno.

Luca Garofalo: "Artscape è un quaderno di appunti...invece di fare ricerca all'interno della scuola e dell'università mi diverto a prendere appunti su quello che mi affascina. In questo momento anche all'interno dello studio sono convinto che una cosa importante sia la relazione tra arte e architettura, e l'architettura sta attingendo molto all'arte anche nel progetto del quotidiano. Questa era l'idea di camminare sul filo raccontando alcuni progetti d'arte e in particolare tutte le opere di Land Art degli anni '70 o di artisti che hanno iniziato con l'arte ambientale in quel periodo e cercano di trovare similitudini e affinità elettive con il lavoro di tanti architetti contemporanei che sono usciti dagli studi e si sono confrontati con il paesaggio. La maggior parte dei progetti sono degli inizi del 2000, e quindi sono artisti e architetti che attingono da questo grande contenitore che è il paesaggio prima che diventi territorio e venga dunque antropizzato e disegnato dagli architetti".

Stupore e innocenza della visione: nel tempo della città dilagante e autoriferita, i 9 capitoli del libro invece scandiscono arte, come forma di ispirazione, progetto, come trascrizione di pensiero ambientale ma soprattutto architettura, come narrazione di spazi. Perché il libro sembra ricordarci che proprio il narrare è quello di cui abbiamo più bisogno.

Luca Garofalo: "Gli spazi che viviamo sono spazi narrativi. L'arte narra più dell'architettura. L'arte racconta alcune storie e siamo noi a leggerle in ogni opera d'arte, mentre l'architettura racconta le storie di chi vive: è più una scenografia".

Per un'architettura con visioni di un futuro, attraversabile, un'architettura non incombente. Forse proprio per questo le prime parole del testo di Garofalo sono tratte da "Moon Palace", un libro di Paul Auster: uno scrittore che è come un architetto del desiderio.

Luca Garofalo: "...S'impose dunque di dimenticare le regole imparate utilizzando il paesaggio stesso come un proprio pari abbandonandosi volontariamente ai capricci del caso, della spontaneità, dei particolari in sé, come conseguenza non aveva più paura del vuoto che lo circondava..:"

Per un'architettura che respira. E soprattutto lascia respirare.

  INTERVISTA DI LORENA BARI

D - Perché il libro inizia con una frase tratta dalla narrativa al posto che da un saggio di architettura?...significa che c'è bisogno di narrazione anche negli spazi che viviamo?
R - Gli spazi che viviamo sono spazi narrativi. L'arte narra più dell'architettura. L'arte racconta alcune storie e siamo noi a leggerle in ogni opera d'arte, mentre l'architettura racconta le storie di chi vive: è più una scenografia. All'interno di ogni capitolo c'è sempre un richiamo a qualche romanzo, che si alterna alle citazioni dei protagonisti, architetti, artisti...anche perché molti dei giovani architetti che io cito fanno parte della mia generazione e sono miei amici.

D - Che cos'è Artscape?
R - Artscape è un quaderno di appunti...invece di fare ricerca all'interno della scuola e dell'università mi diverto a prendere appunti su quello che mi affascina. In questo momento anche all'interno dello studio sono convinto che una cosa importante sia la relazione tra arte e architettura, e l'architettura sta attingendo molto all'arte anche nel progetto del quotidiano. Questa era l'idea di camminare sul filo raccontando alcuni progetti d'arte e in particolare tutte le opere di Land Art degli anni '70 o di artisti che hanno iniziato con l'arte ambientale in quel periodo e cercano di trovare similitudini e affinità elettive con il lavoro di tanti architetti contemporanei che sono usciti dagli studi e si sono confrontati con il paesaggio. La maggior parte dei progetti sono degli inizi del 2000, e quindi sono artisti e architetti che attingono da questo grande contenitore che è il paesaggio prima che diventi territorio e venga dunque antropizzato e disegnato dagli architetti.

D - Di che spazio abbiamo bisogno oggi, che spazio devono costruire gli architetti: è finito il tempo dell'estetica urlata?
R - Il tempo dell'estetica urlata è appena cominciato...quando l'architettura diventa uno strumento politico è il momento in cui ritorna ad essere oggetto...i sindaci delle nostre città continuano a parlare del grande potere dell?architettura. Io personalmente sono convinto che l'architettura debba tornare a dialogare con il contesto, con lo spazio pubblico. Secondo me un edificio incomincia a vivere nel momento in cui è già stato inserito nella città. Quindi a me interessa quello che un edificio provoca in un contesto urbano. Noi ora abbiamo questo progetto a Roma di un parcheggio con un grande muro di cemento conposto da cellule esagonali di cemento...e prima di ottenere approvazioni abbiamo dovuto spiegare il progetto...secondo noi è un'opera di land art perché dialoga con il contesto contrapponendosi al contesto. Siamo convinti che questo muro dialogherà con il paesaggio circostante.

D - Qual è il significato specifico di ArtScape?
R - Artscape tenta di mettere insieme l'idea dell'arte che tenta di mettersi in contatto con il paesaggio e diventa "paesaggio d'arte", e questo paesaggio d'arte deve riuscire ad influenzare l'architetto, che deve avere la stessa libertà di un artista. L'opera di un artista viene giudicata una volta finita, l'opera di un architetto nel momento in cui è disegnata e diventa un lavoro di negoziazione. Secondo me questo è un problema dell'architettura, mentre quello che io invidio agli artisti è che l'artista interviene all'interno della città o del paesaggio in totale libertà, cercando di realizzare un contatto con il fruitore dell'opera. Anche l'architetto dovrebbe riuscire a lavorare con la stessa libertà.


Intervista contenuta nel servizio "ARTSCAPE - ARTE, ARCHITETTURA, PAESAGGIO", puntata 26 in onda Domenica 22 Aprile 2007.



Antonio Carnevale / Panorama / 22-05-2007

Feedback: un libro su Franco Vaccari, fotografo dell’inconscio tecnologico
Feedback, scritti su e di Franco Vaccari: un libro d’arte che costa come un tascabile (18,60 euro) e ripercorre l’opera di uno dei più grandi artisti concettuali italiani.
Vaccari ha scelto come suo mezzo privilegiato la macchina fotografica. E per quanto ogni artista si aspetti che le proprie opere generino conseguenze, Vaccari si è mosso fin dal principio della sua attività con l’intento preciso di innescare dei processi realmente osservabili: creare nuove situazioni determinate dalle sue opere. Ovvero generare feedback, come recita appunto il titolo del volume.
Un esempio tra i tanti è nell’opera Il mendicante elettronico (del 1973), in mostra allo spazio Oberdan di Milano nella rassegna dedicata all’artista fino al 27 maggio (qui la gallery con le alcune delle opere esposte). La location dell’opera è un angolo qualunque di una città qualunque, dove generalmente un mendicante tende il proprio cappello chiedendo l’elemosina e i passanti gli transitano davanti indifferenti. L’intervento dell’artista altrea però il comportamento dei passanti. Vaccari sostituisce il mendicante in carne ed ossa con un televisore che mostra soltanto l’immagine del cappello. Attorno al monitor cominciano così a fermarsi delle persone incuriosite. E dopo un po’ c’è un intero drappello di spettatori immobili davanti all’insolito spettacolo. L’operazione (ripresa a sua volta in un diversi scatti fotografici) mostra il paradosso tra l’indifferenza nei confronti di un clochard e la curiosità per un comune monitor. Ma si presta anche a riflessioni sul potere dei media e del gesto artistico.
Feedback, a cura di Nicoletta Leonardi, è edito da Postmedia books. E il titolo, parola chiave di ogni opera di Vaccari, si riferisce anche alla composizione interna del volume: un’antologia dei più importanti scritti usciti fin’ora sull’artista i quali, accostati a quelli dello stesso Vaccari, assumono la forma di in un botta e risposta tra le opinioni di critici e le idee del fotografo. Tra i contributi dell’antologia, gli scritti di Renato Barilli, Gillo Dorfles e Roberta Valtorta.

 
Manuel Orazi / Il Riformista / 25-07-2007

Il landscape al centro dello “spirito del tempo”
Una priorità globale per l’arte e per la politica


La sinistra ormai si occupa più dei giardini che delle persone, sentenziava André Glucksmann solo pochi mesi or sono su Le Monde. Ma è il paesaggio che più di tutti sta occupando il centro delle preoccupazioni della sinistra italiana causando anche delle faide intestine. Da mesi Alberto Asor Rosa, sostenuto da Repubblica, conduce una battaglia culturale e politica nella rossa Toscana, dove ha la sua seconda casa, federando tutta una serie di piccole associazioni contrarie alle lottizzazioni concesse da molti piccoli comuni per fare cassa. Subito il ministro competente, Rutelli, ha risposto sul Corriere, «la tutela del paesaggio italiano per ora è una priorità nazionale» e ha accelerato l’attuazione del codice del paesaggio che obbliga ogni regione ad approvare un proprio piano paesaggistico perché non tutte l’hanno già. Più in sordina, il governatore Renato Soru ha fatto approvare il piano paesaggistico più restrittivo d’Italia, con enormi limitazioni a ogni tipo di edilizia, e con l’aiuto di paesaggisti e architetti internazionali. Fra questi Gilles Clément, il giardiniere-filosofo già noto ai lettori del Riformista per il suo clamoroso rifiuto di ogni incarico pubblico e privato in Francia perché contrario all’idea di «sviluppo duraturo» introdotto nella politica economica dal neopresidente Sarkozy - che ha congiunto i ministeri economici con quello dell’ambiente. Clément, peraltro, è autore di un pamphlet dedicato ai luoghi abbandonati dall’uomo, “il Manifesto del Terzo paesaggio”, che ha fatto proseliti anche nel comune di Reggio Emilia dove sono state istituite alcune zone di terzo paesaggio (Tpz) all’interno del verde comunale da destinare all’evoluzione spontanea della vegetazione, evitando totalmente gli interventi manutentivi quali la raccolta delle foglie o lo sfalcio dell’erba.
Che il paesaggio però sia parte integrante dello zeitgeist del momento lo aveva presentito, come sempre, l’arte. Da qualche anno Tullio Pericoli ha smesso di eseguire ritratti, vale a dire l’attività per cui è più noto, per dedicarsi interamente alla pittura di paesaggi a partire da quelli natii delle Marche, ma trasfigurandoli e astraendoli sempre di più perché li guarda attraverso gli occhi Paul Klee. Da Viaggio nel paesaggio (Nuages, 2004) a Parti senza un tutto. Paesaggi 2005- 2006 (Lubrina, 2006) - senza dimenticare Terre (Rizzoli, 2000) - Pericoli continua ostinatamente una linea perlopiù solitaria nell’arte contemporanea, dove l’unico altro autore di paesaggi scarni e graffiati è forse il solo Anselm Kiefer, sottolineando la natura profondamente intima e concettuale che caratterizza il paesaggio. Anche per questo oggi discipline un tempo indipendenti, come l’arte, l’architettura e l’urbanistica, ravvisano la necessità di associare i loro nomi a tale concetto per poter operare e acquisire legittimità nel mondo contemporaneo, ridefinendosi a loro volta come landscape-art, landscape- architecture, landscape-urbanism.
La Editorial Gustavo Gili di Barcellona da pochi anni ha inaugurato la collana “Land and Scape” in cui il paesaggio è indagato sotto tutti i punti di vista, artistico, letterario, urbanistico ecc. e due titoli sono recentemente stati tradotti in italiano, benché gli autori (entrambi architetti) siano italianissimi. Si tratta di Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica (Einaudi, 2006) e Luca Galofaro, Artscape. L’arte come approccio al paesaggio contemporaneo (Postmedia books, 2007). Ora, con il volume appena uscito sia in spagnolo sia in inglese, Landscape. 100 words to inhabit it, a cura di Daniela Colafranceschi (GG, 2007), la storica casa editrice catalana intende fare il punto sulla situazione del paesaggio contemporaneo attraverso una forma immediata: termini, definizioni, idee, microstorie e testi brevi in 100 voci.
Gli autori sono internazionali, Clément, Lucien Kroll, Iñaki Abalos, e molti italiani, Stefano Boeri, Piero Zanini, Franco Zagari e gli stessi Careri e Galofaro - peraltro Zagari ha anticipato tutti lo scorso anno curando Questo è paesaggio: 48 definizioni (Mancosu, 2006). Tutti però sono concordi nel dire che, come Magritte scriveva «questa non è una pipa » sotto la rappresentazione della pipa, analogamente il paesaggio non può essere identificato con la propria rappresentazione. Per tale ragione Roberto Zancan, un cervello fuggito in Canada, preferisce parlare di “landscape”: nel suo Corrispondenze. Teorie e storie dal landscape (Gangemi, 2005), spiega come grazie alle implicite qualità visive del termine esso sia molto più efficace nel rispondere al bisogno di spettacolarizzazione che l’epoca attuale tanto richiede. È rispetto a tale attitudine spettacolare che Zancan prende posizione, rivendicando una ragione critica e un valore originale per il design, essendo consapevole che il landscape, per il fatto di essere «risultato di sforzi combinati di natura e uomo e di essere anche cosa che si pensa, è uno dei luoghi nei quali si gioca, e spesso si costruisce, il profilo civile di un paese». Il tema però è diventato globale perché parlare di paesaggio oggi vuole dire riconoscere come oramai l’intera superficie della Terra direttamente o indirettamente sia il risultato di trasformazioni umane. Lo scioglimento accelerato dei ghiacciai e l’incipiente desertificazione di molte aree del globo sono in effetti altrettanti progetti umani involontari di produzione di paesaggio a scala planetaria. E c’è chi come Cristiano Toraldo di Francia, in X-scapes (Alinea, 2006), ha provato a leggere queste trasformazioni operate dall’uomo sulla superficie del pianeta come se fosse un paesaggio unitario. Del che potrebbe anche importarci poco e niente, se proprio in tempi di Live Earth di un sapere autenticamente globale relativo al mondo e alla terra non vi fosse quasi un disperato bisogno - se non s’iniziasse ad avvertire la sua mancanza come la più grave tra le questioni politiche
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Emilia Giorgi / Arte e critica / 11-2007

“Il territorio non esiste in natura, ma è il prodotto di una coevoluzione di lungo periodo fra comunità insediata e ambiente. Gli artisti hanno sempre avuto la capacità di rendere visibile questa relazione... Al contrario gli architetti si sono distinti per la voglia di rifondare il territorio, cercando la maggior parte delle volte di dominarlo.”
Partendo da questa premessa, Luca Galofaro, nel suo Artscape. "L’arte come approccio al paesaggio contemporaneo" (edito nel 2003 dalla casa editrice spagnola Gustavo Gili e ora riproposto nella versione italiana da Postmedia Books), racconta come negli ultimi anni le cose stiano cambiando in favore di una proficua contaminazione tra architettura e arte.
L’autore, co-fondatore dello studio romano IaN+, percorre le fasi di questa evoluzione con lo sguardo di chi opera all’interno della nuova ricerca architettonica. Il libro racconta infatti, con approccio atipico, il modo in cui l’architettura è andata sempre più acquisendo nuove potenzialità nel confronto con il paesaggio traendo
ispirazione proprio dalle esperienze artistiche, in particolare quelle della Land Art.
L’autore accompagna il lettore attraverso una sorta di quaderno di appunti raccolti negli anni, in cui si intrecciano la sua voce con quella degli artisti e degli architetti presentati, le schede tecniche e le immagini con brani di letteratura. Le opere di Gordon Matta-Clark, Richard Serra, Walter De Maria si avvicendano e dialogano liberamente con le esperienze architettoniche recenti di Décosterd&Rahm, dei NOX, di Diller&Scofidio o di Peter Eisenman. Solo per citare un esempio, domina la copertina del volume il progetto in via di realizzazione Baku degli italiani 42’8 (Giuseppe Vele e Luca Nicodemo) costituito da una serie di strutture per la distribuzione delle risorse idriche a forma di ombrello capovolto, un progetto, secondo Galofaro, che richiama alla mente le opere in cui Christo ha “impacchettato” intere porzioni di territorio.
Come scrive Gianni Pettena nella nota di chiusura al libro, “si apre così un percorso, sperimentale e critico, di lettura dell’ambiente globale come luogo di aspirazioni, desideri, strumenti di simbologie contemporanee, e il passato si ricompatta fino a ieri.”



Paola Noé / Label 25 / 10-2007

Dopo la pubblicazione spagnola nel 2003 da parte della Editorial Gustavo Gili di Barcellona, dopo quattro anni, si è arrivati all’edizione italiana di una delle più interessanti riflessioni contemporanee sull’eterno rapporto tra arte e architettura. In occasione della versione in italiano, Artscape si amplia con l’aggiunta di un nuovo (e interessante, perchè dedicato ad artisti più giovani) capitolo intitolato “Quando l’arte definisce un sistema sociale”, in cui l’autore sofferma la sua attenzione sugli interventi più recenti: quelli, memorabili, di Olafur Eliasson con The Weather Project per la Turbine Hall alla Tate Modern (2003), o di Rirkrit Tiravanija con The Land, un vero e proprio villaggio costruito a Sanpatong in Thailandia, dove, in collaborazione con l'università locale, l’artista ha invitato altri colleghi, architetti, studiosi e studenti, a partecipare al progetto di costruire un luogo in cui vivere e creare. E poi ancora le ricerche di Andreas Gursky, Carlos Garaicoa, Francoise Roche, Philippe Parreno, Philip Rahm e Gabriel Orozco. Luca Galofaro, partendo dalla sua formazione di architetto (è laureato in architettura e lavora a Roma nello studio di architettura IaN+, da lui fondato nel 1997 con Carmelo Baglivo e Stefania Manna), ripercorre le diverse ricerche condotte sullo spazio: dai Land artist degli anni Sessanta, che sono usciti dagli studi mettendo i loro lavori in rapporto con il paesaggio (e non più con il museo e la galleria), fino alle espressioni contemporanee, mettendo in evidenza il processo e l’azione esercitati sul paesaggio, e non soltanto il loro risultato formale. Lo stesso Garofalo nel prologo al testo spiega che il termine artscape “cerca di sintetizzare l’idea di un intervento sul paesaggio mediato da un approccio artistico”.

Following the 2003 Spanish edition published by Barcelona’s Editorial Gustavo Gili, four years later comes the Italian edition of one of the most interesting contemporary reflections on the eternal relationship between art and architecture. On the occasion of the release of the Italian version, Artscape expands with an additional new (and interesting, because dedicated to younger artists) chapter entitled “Quando l’arte definisce un sistema sociale” (When art defines a social system, trans.), in which the author focuses on more recent interventions: memorable ones by Olafur Eliasson with The Weather Project for the Turbine Hall at the Tate Modern (2003), or by Rirkrit Tiravanija with The Land, a true and proper village built in Sanpatong, in Thailandia, where, teaming up with the local university, the artist invited other colleagues, architects, experts and students, to participate in the construction of a place where to live and create. And yet again, the researches by Andreas Gursky, Carlos Garaicoa, Francoise Roche, Philippe Parreno, Philip Rahm and Gabriel Orozco. Luca Galofaro, starting from his formation as an architect (he has a degree in architecture and works in Rome at the IaN+ architects firm, he founded in 1997 together with Carmelo Baglivo and Stefania Manna), he goes over the different researches conducted on space: from the 60s Land artists, who came out of their studios to put their works into a relation with the landscape (and not with museums and art galleries), up to contemporary expressions; underscoring the process and the action carried out on the landscape, and not just their formal result. Garofalo himself in the foreword to the book explains the term artscape, which “attempts to synthesise the idea of an intervention on the landscape mediated by an artistic approach”.

Elena Pirazzoli / Nuova Informazione Bibliografica