il ritorno del reale


















Il ritorno del reale
postfazione
di Emanuela De Cecco


Sono tante e di diverso ordine le ragioni per sottolineare l’importanza di questo libro e della sua pubblicazione in italiano a quasi dieci anni di distanza dall’uscita in lingua originale. Inizierei col dire che la portata de Il ritorno del reale non si esaurisce di certo in un arco di tempo così breve, ma anzi, come tutti i contributi significativi destinati ad occupare un posto di rilievo nel panorama del pensiero, è proprio questa prospettiva temporale (una lieve differita la definirebbe l’autore) che ci consente di comprenderne appieno il valore, in particolare alla luce di quanto è accaduto in questi anni e alla luce della direzione in cui molte cose sono andate di cui, “allora” era dato agli sguardi più attenti vederne i germi ma non certo ancora i germogli.
La vista lunga, d’altra parte, è un carattere presente in tutta la produzione di Hal Foster. Da Recoding: Art, Spectacle, Cultural Politics, a The Anti-Aesthetic, The Return of the Real, a Compulsive Beauty, fino a Design & Crime che i lettori italiani hanno già avuto modo di conoscere e dove si percepisce quasi fisicamente, l’urgenza di interrogarsi sulle ragioni e sulle possibilità di esistenza dell’arte di oggi, di continuare a confrontarsi con gli interrogativi drammatici e i paradossi che segnano la realtà dell’arte di questi anni, ma non solo. Tutti questi volumi riescono a scandire un passaggio importante degli sviluppi artistici negli ultimi decenni, in ognuno di essi l'autore parte da una prospettiva specifica che poi si rivela estremamente efficace nel condurci a riflettere su un contesto ben più ampio.
Concentrando l’attenzione su Il ritorno del reale, credo che siano in pochi ad avere dubbi che si tratti di uno dei contributi che più ha saputo attraversare il presente e offrire una lettura di episodi storicizzati, dal minimalismo, all’arte concettuale, al percorso di Andy Warhol, per arrivare agli sviluppi che hanno segnato una vera e propria svolta rispetto al passato prossimo agli inizi degli anni Novanta. Il procedere di Hal Foster lo si può definire ragionevolmente complesso, in quanto da un lato continua a mantenere aperto e vivo il dialogo con la storia dell’arte, dall’altro si apre ad un confronto reale con discipline confinanti con l’arte stessa.
Accennavo all’inizio a ragioni di diverso ordine e, dunque, se da un lato le ragioni interne già di per sé sono ampiamente sufficienti a considerarne necessaria la pubblicazione, ci sono altrettante ragioni contestuali che sarebbe auspicabile producessero un effetto a catena nel nostro modo (mi riferisco al contesto italiano attuale un po’ smemorato) di affrontare la disciplina critica. È un dato di fatto evidente a chiunque abbia sviluppato un interesse in questo ambito, quanto da un lato siano alti e numerosi gli steccati, i cancelli, i paletti che separano i percorsi di chi privilegia lo studio della storia dell'arte in una prospettiva storica da coloro che si dedicano a decifrare i fatti del presente e, dall’altro, come chi si dedica alla contemporaneità (con poche eccezioni) sia preda di un balbettio che rende difficile organizzare delle visioni di insieme e, in definitiva, come tra gli esponenti dei due versanti vi sia una reciproca diffidenza.
Al contrario, è significativo che i saggi di Hal Foster contenuti nel presente volume si muovano nella direzione opposta, riuscendo a coniugare passato e presente. La presenza del passato è resa fortemente attuale e si offre come conoscenza indispensabile ad analizzare il presente, così come l’inquietudine e l’incertezza che caratterizza l’oggi è un elemento che illumina episodi di ieri dei quali originariamente non era possibile coglierne interamente la portata. Uno degli aspetti più efficaci di questo percorso prende origine dal continuo interrogarsi, nel non dare mai per acquisiti significati che vengono attribuiti in tempi e contesti diversi agli stessi termini, questo vale per il readymade duchampiano e dunque per gli sviluppi che oggi hanno trasformato “quel” gesto in una pratica diffusa, vale per le definizioni del realismo, vale per le reinterpretazioni dell’arte minimal, vero e proprio linguaggio classico della contemporaneità che, più di qualunque altro, è stato adottato dai protagonisti dello scenario attuale provenienti da contesti non occidentali.
Ne Il ritorno del reale la storia vista con gli occhi di oggi non è un terreno dove tessere facili celebrazioni, né un rifugio rassicurante da cui guardare lo sviluppo caotico del presente, ma è una presenza importante che assolve al compito di aumentarne la consapevolezza. Le incursioni con cui l’autore relaziona episodi storici e attualità ci insegnano ad esercitare uno sguardo che non si appiattisce sull’oggi, che non cerca giustificazioni nella mancanza di memoria, che non cerca assoluzioni in forme semplificate di relativismo.
Se dunque questo dialogo incessante – non sempre facile da seguire perché presuppone che anche il lettore sia nella felice condizione di maneggiare con familiarità tanto la storia e la critica dell’arte del passato quanto del presente – si pone come stimolo che attraversa il dibattito critico-artistico lungo la linea del tempo, credo sia altrettanto necessario rimarcare la presenza di una linea che si sviluppa con altrettanta ampiezza lungo un’asse orizzontale. In questo senso l’autore mette in una relazione proficua (non si tratta di semplici citazioni) le questioni centrali dell’arte di oggi con i nodi del pensiero contemporaneo. Tanto il pensiero di alcuni antropologi, Clifford Geerz per primo, quanto l’eredità del pensiero filosofico e politico di Benjamin e Marx, Debord e Derrida, quanto il pensiero psicoanalitico lacaniano, sono interlocutori di Hal Foster nella costruzione di una difficile mappa della contemporaneità.
Lontano dall’idea, questa sì ipocritamente rassicurante, che oggi sia possibile confrontarsi con l’arte come se si trattasse di un mondo a parte, governato da leggi proprie e abitato da un'etnia protetta, Hal Foster affronta senza mai tirarsi indietro le questioni problematiche che accompagnano il lavoro degli artisti, dei critici, dei curatori di oggi in relazione al contesto in cui tutto questo avviene, intrecciandosi con le regole della nostra cosiddetta società dello spettacolo. Uno degli aspetti che rende unico questo contributo è proprio il coraggio di guardarsi allo specchio e non escludere mai la possibilità che l’oggetto delle proprie attenzioni (di una vita di attenzioni) abbia perso completamente senso. La difesa di una disciplina, le ragioni di esistenza della critica d’arte, sono affermate in relazione alla possibilità di continuare ad esercitare uno sguardo consapevole, non al fine di difendere un privilegio nobiliare.
Senza alcuna presunzione, senza arroganza, il corpo a corpo con l’arte e il sapere contemporaneo di cui Il ritorno del reale è il risultato, squarcia un velo su tanti taciti compromessi e regole non dette sui quali si regolano molte relazioni che determinano tanto l’organizzazione del sapere accademico, quanto il funzionamento del cosiddetto sistema dell’arte. L’autore ci conduce per mano in un contesto dove sono più i problemi che le soluzioni, ma è nonostante tutto questo, o meglio, grazie a tutto questo, che a noi arriva lo stimolo per continuare a cercare di comprendere, permettendo all’arte (per dirla con le stesse parole di Hal Foster) di “continuare a vivere”.






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