Toshiko Mori, recensioni

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Veronica Cupioli / blog_architetturadipietra / 03-2006

Possono i materiali perdere il loro ruolo passivo e diventare soggetti attivi nella progettazione? E che impatto avrebbe questo a livello sociale?
Le questioni rappresentano il punto di partenza del testo ‘Immateriale|Ultramateriale’ curato da Toshiko Mori.
Il parallelismo tra esperimenti, condotti in collaborazione tra industrie private e l’Università di Architettura di Harvard, e tavole rotonde con professionisti coinvolti attivamente in questo tipo di ricerche, porta ad un duplice linguaggio. Da un lato, infatti, si affrontano tecnologie al limite tra esperimenti NASA e chimica dei materiali, con il linguaggio scientifico che ne consegue, dall’altro, si cerca di comprendere quale impatto possano provocare queste nuove tecnologie nel ruolo dell’architetto e nei gusti della società, senza tralasciare problemi di carattere socio-politico-economico legati sia alla ricerca (nel reperire i fondi) sia all’utilizzo di questi materiali (responsabilità dei progettisti e brevetti).
I temi attorno a cui ruota la trattazione sono Limite, Superficie e Sostanza.
Gli studenti si sono dedicati a ricercare modi innovativi per un uso di materiali diverso da quello per cui vengono prodotti. Nei primi due casi (Limite e Superficie) i materiali utilizzati sono stati rispettivamente: fogli di compensato di mogano sapele per la realizzazione del rivestimento di una colonna e di un arco, gomma per indagare sulla relazione simbiotica tra elementi compressivi e tensili nel processo di fusione; cartongesso, pannelli in fibre di carta riciclata e pannelli MDF- fibra di legno a media densità - per sviluppare una prassi di ricerca nell’intersezione tra progetto, materiali e produzione.
Per quanto riguarda il capitolo “Sostanza”, il materiale oggetto di studio è stato l’aerogel. E ciò risulta particolarmente interessante essendo questo materiale costituito per il 98% da aria. L’immaterialità diventa, quindi, tangibile, e non solo. Infatti, «l’architettura di oggi presenta una sottigliezza che, però, ha uno strano spessore» (Ron Witte) e l’aerogel riassume una serie di qualità tali da renderlo virtuoso: può passare dalla trasparenza all’opacità, da una maggiore rigidezza ad una maggiore fragilità, mantenendo qualità termiche di isolazione. Si possono così ottenere superfici variant sameness che ridefiniscono il binomio parete-finestra. Grazie a stampi plasmati a seconda di una certa topografia, i pannelli (le dimensioni possono variare) di aerogel vengono plasmati secondo la geografia dello stampo: a zone più alte corrisponde un minor spessore di aerogel, quindi una maggiore trasparenza, a zone più basse, corrisponde un maggior spessore di aerogel, quindi una maggiore opacità e rigidità.
Nella tavola rotonda seguente Michael Cima, illustra i potenziali della stampa tridimensionale, e di come la “forma” possa racchiudere un grande valore. La “metodologia additiva” consentirà la produzione di pannelli multifunzionali, all’interno dei quali potranno essere istallati impianti (elettrici e idraulici) e strumenti di controllo, proponendo una struttura ad elevate prestazioni tecnologiche. In questa modalità di esecuzione, oltretutto, il prezzo del pannello non è proporzionale alla sua complessità. L’unica difficoltà è nella fase di progetto di questi moduli. Questa metodologia suscita delle perplessità tra i conferenzieri, in quanto sconvolge la normale prassi di esecuzione di un edificio (maniera sequenziale) in favore di uno sviluppo in parallelo del cantiere, ed elimina dalla scena alcune figure tecniche come gli elettricisti, ad esempio, investendo il progettista di una serie di cognizioni tecniche e di pratiche esecutive.
Nel capitolo dedicato ai “Fenomeni” ci vengono infine proposte quattro chiavi di lettura per un approccio fisico con i materiali e l’architettura. Il primo approfondisce ‘L’odore dell’architettura’ che può identificare uno spazio, e diventarne limite; il secondo analizza il rapporto tra “Corpo, Performance, Confine” per cui lo spazio è «formato e coreografato dalla reazione cinestetica del corpo umano»; il terzo propone, attraverso l’uso della conduzione ossea, una nuova “Interferenza di confine”; il quarto riguarda il legame tra la “Luce effimera” e la spiritualità nel progetto di architettura.
L’intervista conclusiva a Jacques Herzog ci da la possibilità di entrare nel suo studio di progettazione, di scoprire il lavoro che lui e Pierre De Meuron sviluppano sui materiali, e di come si confrontano con il cantiere. Ma ci permette anche di tentare una risposta alle domande iniziali: «(…) ciò che perseguiamo è il momento in cui la materialità trascende nell’immaterialità. Per realizzare questa trascendenza (…) usiamo spesso una strategia di ipermaterialità, una strategia dove condizioni materiali della struttura in via di costruzione sono chiamate in causa fin dall’inizio.»

Veronica Cupioli


 

(da blog_architetturadipietra)