FOTO FEMME

TINA MODOTTI, LA PASIONARIA DELLA FOTOGRAFIA TRA ARTE E VITA

TENERAMENTE TINA

Amata e criticata, Tina Modotti è stata riscoperta negli ultimi anni per il valore e l'attualità dei suoi scatti, per il suo fascino di donna spregiudicata e indipendente.

di Federica De Micheli

Raccontare in poche righe la vita di Tina Modotti non solo è riduttivo, ma praticamente impossibile. Leggere la sua biografia è come immergersi nella storia, circa cinquant'anni di storia mondiale racchiusa nell'esperienza di una sola donna che ha scelto di vivere un'esistenza determinata e anticonformista. Un vero e proprio romanzo: fu da giovanissima operaia nelle filande in Italia, emigrante negli Stati Uniti, attrice nei film muti di Hollywood, fotografa appassionata in Messico, rivoluzionaria militante nel movimento comunista internazionale, esule politica, ma soprattutto donna bellissima dal temperamento indomito, tanto che fin da piccola la madre usava chiamarla “Tinissima”. Una donna che con il suo modo di vivere e sentire ha sfidato l'ordine costituito ed ha saputo essere protagonista della propria esistenza, ora posando nuda con sfrontata sensualità e naturale eleganza, ora rischiando la vita in prima linea per perseguire un ideale. Solo conoscendo le sue vicende umane, si può essere in grado di apprezzare il talento artistico della fotografa e di comprenderne pienamente lo spessore.

Tina nacque il 16 agosto 1896 a Pracchiuso (UD) da umile famiglia operaia. Fame e povertà la costrinsero a raggiungere il padre negli USA, in cerca di un futuro migliore. Durante la sua permanenza americana, ebbe frequentazioni che la misero da fin subito in contatto con il mondo intellettuale in cui finì di formare la sua identità laica e ribelle.

Anche le relazioni sentimentali ebbero un ruolo di primo piano nella sua crescita artistica e politica. Nel 1917 conobbe il poeta e pittore Roubaix del'Abrie Richey, “Robo” per gli amici, che sposò e con cui si trasferì a Los Angeles. Tina dice di lui: “L'amore era la necessità più grande della sua vita. (...) Il soggetto di conversazione preferito era l'antico tema che da sempre perseguita i poeti: il modo di vivere nella bellezza”.

Robo morì di vaiolo, durante un viaggio in Messico nel 1922, anno in cui, nella triste occasione del funerale, Tina scopre un paese che la stregherà, l'accoglierà benevolo e le darà in seguito modo di esprimere il suo estro creativo.

L'incontro con Edward Weston, fotografo già affermato, rappresentò un importante momento nella vita di entrambi. Il loro, infatti, fu un sodalizio umano e lavorativo che, in Messico (paese in cui si trasferirono nel 1923) produsse un'intensa, febbrile attività amorosa e fotografica. Fecero un patto: lui le avrebbe insegnato a fotografare e lei in cambio avrebbe dovuto assisterlo in camera oscura. I due si immersero subito nel tessuto sociale e nel fermento rivoluzionario del Rinascimento messicano, diventarono amici del gruppo di pittori muralisti di cui facevano parte Rivera, Guerrero, Orozco.

“La mia cara apprendista”, così la chiamava teneramente Weston che vide sbocciare, giorno dopo giorno, la creatività della sua allieva e la sua bellezza che immortalò nei sensuali scatti di nudo sull'azotea. L'inevitabile influenza del maestro e la volontà di ricerca estetica e formale, condussero Tina a giocare con la rappresentazione di oggetti colti nella loro accezione simbolica. Durante il periodo di “tirocinio”, i fiori furono il suo soggetto preferito, famosi i suoi due scatti “Calle” e “Roses”. Nel primo, la composizione geometrica quasi perfettamente bilanciata e la staticità degli oggetti, guidano lo sguardo lungo la verticale dei due lunghi steli scuri che dividono in due l'immagine e svettano verso l'alto con l'esplosione di candida, elegante naturalezza dei due calici. In un primo momento l'atmosfera sembra surreale, si ha l'idea di uno spazio atemporale e austero. Con un po' di attenzione si scoprono invece particolari ed elementi che riportano ad una situazione piuttosto tangibile, dall'astrazione al reale, dalla freddezza al calore di un muro rovinato e tipico di case messicane usato come sfondo.

Diversa è la sensazione guardando “Roses”. Fiori considerati per antonomasia simbolo di amore passionale, le rose qui rappresentate emanano, insieme al profumo suggerito dalla loro morbidezza, una struggente sensualità, una voluttà profondamente tattile. Il gioco di luci ed ombre esalta l'imperfezione dei petali, alcuni avvizziti, e rimanda concettualmente alla caducità delle cose umane, alla loro transitorietà. Molte sono le interpretazioni sul significato simbolico di questo soggetto, alcuni amano vedere in esso un riferimento erotico ai genitali femminili, altri un memento mori, altri una proiezione “floreale” dell'umana sofferenza, altri ancora una forma di autoritratto della fotografa nella sua fragilità di donna. Comunque la si voglia leggere, indiscutibili sono il lirismo e la dolcezza evocati che inevitabilmente rimangono impressi nella memoria sensoriale di ciascun osservatore.

Ma Tina non riuscì a lungo a piegarsi alla disciplina e alla rigidezza che le imponeva lo studio della tecnica fotografica, veniva continuamente distratta dalla vita in tutte le sue forme. Incostante e volubile, incapace di dedicarsi unicamente alla fotografia e severa nel giudizio di sé stessa, si tormentava e si rimproverava di continuo. Così scriveva a Weston: “Ma cos'è il mio problema della vita? È principalmente uno sforzo per distaccarmi dalla vita e riuscire a dedicarmi completamente all'arte. (...) ci deve essere un giusto equilibrio tra i due elementi (...) metto troppa arte nella mia vita e di conseguenza non mi rimane molto da dare all'arte.”

Allora, come conciliare le sue due anime se non fotografando la vita?

La passione politica e la dedizione alla “causa” le diedero modo di trovare l'equilibrio che tanto affannosamente cercava. Avvenne, dunque, il distacco da Weston, non solo sentimentale (sofferto e mai definitivo) ma anche artistico, formale e contenutistico che portarono la Modotti ad appropriarsi di un suo personalissimo modo di fotografare. Abbandonò le sperimentazioni tecniche e puntò il suo obiettivo sulla povertà dignitosa del proletariato messicano. “Se le mie fotografie si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.”

Scoprì la funzione sociale della fotografia, la forza dell'immagine, la capacità di comunicare e trasmettere valori.

“ La fotografia, proprio perché può essere prodotta solo nel presente e perché si basa su ciò che esiste oggettivamente davanti alla macchina fotografica, rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti ed è da questo che deriva il suo valore di documento”. Realizzò reportage sul popolo messicano ergendolo a soggetto di storia. Camminò per le strade intenta a catturare con la sua Graflex l'anima di quel popolo. Fotografò non con gli occhi di una madre distaccata e benevola, ma di sorella partecipe di sofferenze e speranze. Ogni scatto un grido di ribellione, una promessa di solidarietà. Queste foto saranno quelle che più si avvicinano alla sua idea di arte combinata alla vita.

Questa volta, fotografati dall'alto, non erano più rose a riempire per intero il campo visivo, ma una massa indistinta di campesinos che con i loro inseparabili sombreri e le loro camicie bianche camminano, manifestando per la strada. A stagliarsi nello spazio, al posto delle calle, era il corpicino impettito di un bambino messicano dai capelli corvini con il suo piccolo sombrero calcato sulla testa, con il viso imbronciato, gli occhi languidi e fieri.

Realizzò anche una serie di foto dedicate alle donne: a lavoratrici nei loro gesti quotidiani, seni di donne che allattano, una donna dalle lunghe trecce nere con bambino in grembo. Manifesti di vicinanza spirituale, curiosità malinconica e dolore di una femminilità castrata, di una maternità negata, il senso di frustrante incompletezza con cui Tina dovette imparare a convivere per l'impossibilità di essere madre.

E poi ancora mani di uomo composte e pazienti, non violente ma forti, logorate da un lavoro estenuante, sporche di sudore e terra, saldamente poggiate su un badile durante una pausa. Piedi rovinati che calzano sandali consunti dalle polverose giornate di fatica nei campi.

L'emozione, l'indignazione e poi la tenerezza.

Dopo Weston, Tina ebbe altre due relazioni che segnarono il corso della sua vita. Con il rivoluzionario cubano rifugiato in Messico Juan Antonio Mella, poi assassinato, e con Vittorio Vidali, un attivista italiano, conosciuto dopo essere stata espulsa dal Messico con l'accusa di aver partecipato ad un complotto contro il Presidente messicano nel 1930. Per dieci anni Tina viaggerà da Rotterdam a Berlino, da Parigi a Mosca, assistendo i rifugiati politici e militando nel Soccorso Rosso Internazionale durante la guerra civile spagnola. Tornerà in Messico, sua terra di adozione, soltanto nel 1940.

La breve attività fotografica della Modotti dunque, si interruppe bruscamente: la vita ebbe di nuovo la meglio sull'arte.

Morì d'infarto, la notte del 5 gennaio 1942, sola, su un taxi.


“Vita di Tina Modotti. Fuoco, neve e ombre” di Patricia Albers. Edito da Postmedia Books

pp. 320 _18.80

Meritevole di aver trattato il percorso esistenziale di una donna particolarissima come Tina Modotti con affetto e lucido realismo, il libro di Patricia Albers offre al lettore una ricostruzione impeccabile, attenta ed esauriente di una vita rocambolesca, tutt'altro che semplice da trattare e ha il merito di svelare le zone d'ombra di una figura discussa e controversa. Ritratto intimo e fedele di un'artista che ha lavorato e si è espressa in un periodo storico difficile, pieno di avvenimenti importanti, ma anche di donna che ha molto amato. L'estrema fragilità, i tormenti, il fervore artistico e la passione intellettuale di donna indipendente ed emancipata che con le sue fotografie, ha dato testimonianza di un'epoca e di un popolo cogliendo, con spirito acuto e sensibilità attenta, consapevole dell'effimera condizione umana, le ingiustizie sociali perpetrate da sempre a danno dei più deboli.

Una biografia, ma anche un romanzo a cui, fin dalle prime righe, ci si appassiona.


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