Segnare il tempo

di Emanuela De Cecco
 

Hal Foster in Design & Crime, affronta in tono polemico la cultura totalizzante del design per arrivare a interrogarsi sulle possibili ragioni di esistenza dell'arte di oggi. L'autore ripercorre alcuni nodi significativi dell'arte del XX secolo partendo dalla consapevolezza da un lato di una fine (dell'arte) incombente, più volte annunciata dalle avanguardie storiche in poi, dall'altro dell'alterazione delle regole del gioco determinata, appunto, dell'onnipresenza del design, complice di un circuito pressoché perfetto di produzione e consumo?.
Nel capitolo conclusivo, l'ottavo, dopo sette precedenti in cui dimostra puntualmente come le parole di Benjamin, di Adorno e di Debord abbiano più di un riscontro, non certo confortante, nella realtà che ci appartiene, Foster traccia un percorso a partire dalla parafrasi di una frase di Adorno, dove introduce la condizione di “continuare a vivere”. È un'affermazione coraggiosa, che è interessante considerare come un'ipotesi di ri-partenza secondo cui l'arte può avere, nonostante tutto, un peso significativo sul presente.
Hal Foster configura una sorta di tassonomia con la quale non intende esaurire la questione ma, al contrario, iniziare a praticarla. Parla di “categorie” dai confini porosi e spesso destinate a intrecciarsi tra di loro, la cui presenza viene rilevata in alcune opere d'arte ma anche in film e testi letterari. Foster le introduce come strategie di comunicazione con le quali gli autori attuano una modalità complessa di relazione col reale, senza cadere nella tentazione di fare finta che niente sia accaduto, senza cadere nella trappola della rimozione. La terza delle quattro (dopo il traumatico, il fantasmatico e prima dell'incongruente), è la messa in atto di forme “fuori sincrono”.
Il fuori sincrono in questa prospettiva, consiste “nell'immaginare un nuovo media a partire dai resti delle vecchie forme, nel tenere insieme gli elementi che appartengono a epoche diverse in un'unica struttura visiva”. Poco dopo aggiunge: “Fino a non molto tempo fa il film era il mezzo del futuro, adesso è l'archivio privilegiato del recente passato, quindi un elemento fondamentale di questa protesta fuori sincrono contro la totalità profetica della cultura del design”. In altre parole l'impiego di questo “fuori sincrono” incrina dall'interno la presunzione della modernità nel pensarsi senza tempo e universale.
Il saggio si conclude con l'ultima nota dove, in realtà più che chiudersi si apre un'altra strada ancora da esplorare. Hal Foster chiama in causa lo scrittore di origine tedesca W.G. Sebald che parla di `vertigo' nel romanzo che porta lo stesso titolo: “Questo è lo stato mentale della vita `tra i resti della nostra civiltà dopo la sua estinzione', come dice in Anelli di saturno (1995). È una malinconia che, paradossalmente, è svincolata dall'oggetto perduto – perché ci sono troppi oggetti persi da rintracciare, così tanti da provocare le vertigini. In un certo senso il vertiginoso è una combinazione del fuori sincrono e dell'incongruente, dello spiazzamento o disorientamento in termini spaziali e temporali allo stesso tempo; e le narrazioni di Sebald cercano senza indugio di rappresentare questa vertigine e di sopravviverle”.

Tacita Dean, dedica uno dei sette fascicoli che compongono il catalogo realizzato in occasione della sua mostra personale al Musée d'Art Moderne di Parigi nella primavera del 2003 proprio a W.G: Sebald3. L'artista scrive un testo – inserendovi fotografie scattate appositamente, documenti storici, foto di oggetti personali – dove si rincorrono vicende private della propria famiglia con il contesto storico, con la fase preparatoria di una mostra a Düsseldorf, con le parole e le vicende dello scrittore stesso.
Lo scritto si snoda attraverso una serie di intrecci e di coincidenze dove il mondo di Sebald entra in gioco a più livelli. La relazione prende forma in modo naturale e riguarda il cuore del procedere di Tacita Dean: dare spazio agli indizi, includere nel proprio percorso le coincidenze, un processo creativo che, a sua volta, ha qualcosa affine al percorso di un detective. C'è un'intenzione dichiarata di partenza ma è attraverso l'esperienza del viaggio, spesso un viaggio vero e proprio, che il lavoro prende forma.
I film di Tacita Dean non sono fatti per essere mostrati al cinema. Vivono un rapporto particolare con lo spazio nel quale sono esposti, dove persino la presenza fisica del proiettore gioca un ruolo significativo. Poche scene, inquadrature fisse, la cinepresa ha la funzione di registrare ciò che accade in un tempo scandito dalla lunghezza delle bobine di pellicola; il suono, presenza importante in ogni film, tanto quanto ciò che viene mostrato dalle immagini. In questo senso – tornando alle parole di Hal Foster – i film dell'artista sono un "nuovo media". Vivono in una dimensione ?fuori sincrono? rispetto alle possibilità che offre il digitale e, paradossalmente, proprio nella presa di distanza dai tempi veloci della contemporaneità e dall'ossessione di una visibilità totale, rimettono in gioco la possibilità di ?continuare a vivere?, ovvero ci mettono nella condizione di recuperare un senso pieno dell'esperienza della visione.
Le storie di singoli individui (come nel caso di Donald Crowhurst) o di particolari costruzioni (Bubble House, Teignmouth Electron, Sound Mirrors, Fersehnsturm), gli eventi cosmici (l'eclisse), atmosferici (il “raggio verde”) sono alcuni dei soggetti a partire dai quali l'artista ha realizzato altrettanti film. A volte la narrazione si condensa nell'accadere di un singolo evento (il passaggio all'oscurità e il ritorno alla luce nel caso dell'eclisse filmato in Banewl), in altri casi all'origine c'è una storia più complessa che vive nei testi scritti dall'artista accanto ad ogni singolo lavoro, sempre a giochi fatti. Per esempio il movimento del faro e l'arrivo della notte nel caso di Disappearence at Sea (1996), restituisce il passaggio ciclico del tempo ma è anche l'attesa invana del ritorno a casa di Crowhurst dalla regata attorno al mondo.
Al di là dei soggetti, o meglio, attraverso i soggetti, il rapporto con il tempo occupa una posizione di rilievo in tutto il lavoro dell'artista. Quando l'attenzione è concentrata sulle zone d'ombra della modernità, l'accelerazione delle premesse si trasforma in stasi. Il Teignemouth Electron, l'imbarcazione di Crowhurst che, se solo fosse stata attrezzata con più cura, lo avrebbe potuto condurre in mare con la sicurezza necessaria, giace abbandonato su una spiaggia dei Caraibi. A non molta distanza riposa un altro reperto figlio del progresso, la Bubble House, una casa a sfera simile ad una navicella arrivata dallo spazio. I Sound Mirrors sono gigantesche strutture in cemento costruite sulla costa inglese nel periodo successivo alla Prima Guerra mondiale e prima dell'epoca dei radar. Erano stati posizionati lì per difendere il paese dagli attacchi aerei, ma nel giro di pochissimo si rivelarono obsoleti, incapaci di distinguere le fonti di provenienza dei suoni. Oggi sono monoliti silenziosi, testimonianze di un esperimento non riuscito. Il Fersehnsturm è il ristorante girevole sulla torre televisiva nell'ex Berlino Est che tuttora funziona e conserva – nella sua forma e nelle movenze delle persone che lì dentro ci lavorano – la sua aura mitica legata al comunismo e all'architettura di rappresentanza ad esso collegata. (...)
Nei lavori più recenti, mi riferisco a Mario Merz (2002) Boots (2002) e Baobab (2002), l'artista si concentra nei primi due casi su due "grandi vecchi", nel terzo sugli alberi che, con i grandi vecchi, condividono l'accumulo di esperienza del mondo e la conformazione fisica. In questi lavori, il tempo in questione non è né il tempo che ha problemi irrisolti con un futuro mai arrivato, né il tempo fuori scala dei cicli naturali: entra in gioco una relazione diretta con la vita umana. Si potrebbe parlare di un tempo concentrato sul presente.
Mario Merz condensa in pochi minuti un ritratto di un artista da un'angolatura decisamente inedita. È il ritratto di un uomo in età avanzata di cui Tacita coglie la fragilità, il suo essere allo stesso tempo molto presente e disancorato dagli affanni quotidiani, poche parole sparse. Il cambiamento repentino di luce al sopraggiungere del temporale, seguito dall'uscita di scena del protagonista – i passi per tornare al chiuso prima dell'arrivo della pioggia – danno al film un inevitabile valore esistenziale.
Boots, dal soprannome del protagonista, è girato in tre versioni diverse e in tre lingue diverse. È ancora un ritratto di una persona anziana, un caro amico della famiglia di Tacita Dean. L'artista lo coinvolge invitandolo a condurre una sorta di visita guidata all'interno della Casa de Serralves a Porto. Lui si presta al compito, conscio del fatto che nessun altro avrebbe potuto interpretare con la stessa precisione quella parte, ovviamente in relazione al progetto dell'artista. Tra le pieghe della sua camminata, Boots alterna i commenti sullo spazio con accenni di memorie personali e riflessioni. La moltiplicazione dei racconti, la scelta per ogni versione di immagini diverse, oltre – ancora una volta – a prendere le distanze dalla narrazione a senso unico del cinema tradizionale, rende esplicita la possibilità che ogni volta la “storia” possa essere vista come un'altra storia. Lo sguardo dell'artista trasforma in eleganza la fatica di Boots. Anche in questo caso la fragilità, il suo procedere con passo incerto appoggiandosi ai bastoni, acquisiscono una valenza simbolica in relazione ai tempi della vita: il ritratto di un uomo si allarga fino a diventare un pensiero poetico su una condizione.
Analogamente i baobab, la cui struttura porta fisicamente le tracce dell'età, sono alberi ma hanno tratti che li avvicinano agli umani. Nel film ad essi dedicato, Tacita Dean attraverso i loro corpi, il rumore del vento e il quasi niente che sta attorno, comunica la solidità di chi ha visto molto. Questi alberi sembrano avere sviluppato la capacità di sopravvivere a tutto ciò che avviene attorno, un'attitudine condivisa con chi, nel corso di un'esistenza lunga, ha attraversato eventi tragici, guerre, bombardamenti, terremoti riuscendo a sopravvivere e oggi guarda il mondo con uno sguardo denso e silenzioso, fatto di saggezza e tranquillità.